venerdì 30 giugno 2017

Sguardo cristiano su notizie di attualità


PRESUNZIONE DI FELICITÀ
Riflessioni sulla sentenza della CEDU a riguardo del piccolo Charlie Gard



Una sentenza che mina il diritto alla vita,
la responsabilità genitoriale e il progresso scientifico

La sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo che ha decretato la morte obbligatoria (andando direttamente al sodo) del piccolo Charlie Gard ci dovrebbe inquietare e farci riflettere.
In primis perché un essere umano che ancora non ha la possibilità di autodeterminarsi è stato condannato a morire; in secondo luogo perché anche quelli che avrebbe dovuto decidere per lui (legalmente parlando), e cioè i suoi genitori, sono stati privati (se vogliamo esprimerci in termini molto pratici) di quella che oggi viene definita responsabilità genitoriale (la patria potestà di una volta, per intenderci). È una privazione di fatto, perché concretamente il padre e la madre di Charlie non hanno potuto decidere in quale modo occuparsi al meglio del proprio bambino, come curarlo, come dargli una possibilità di continuare a vivere. È stata negata loro finanche la possibilità di far morire il piccolo in casa propria, rimandando di qualche giorno il fine vita per far circondare il bambino dell'affetto dei parenti. Ritenuti dunque incapaci di "gestire" questa intera "situazione", il potere giudiziario si è sostituito a essi. La Corte ha ritenuto che Charlie, malato di una malattia incurabile, stesse soffrendo troppo e avrebbe sofferto troppo... e per giunta, inutilmente. Siamo al parossismo: il diritto alla vita cede il posto al diritto alla fine sofferenza, come se la lotta per la vita fosse tortura, punizione crudele e inumana (mi rifaccio al linguaggio della Dichiarazione universale dei Diritti dell'Uomo del 9 dicembre 1948).
Ma la sentenza è preoccupante anche per un altro motivo: vietare una terapia sperimentale a Charlie (terapia il cui costo sarebbe stato a carico dei genitori, non di uno Stato), significa in realtà impedire la speranza della guarigione (o di uno stato di vita migliore) non solo a questo bambino in particolare, ma anche alle altre poche persone (ma non per questo non meritevoli del diritto alla salute e/o a una migliore qualità della vita)  che in tutto il mondo soffrono della stessa patologia.
Insomma, questa sentenza non solo dichiara scacco matto alla vita di un bambino e ai suoi genitori, ma anche al progresso scientifico a favore dell'uomo.
Infine, ed è questo su cui mi vorrei soffermare di più, sul piano etico e morale questa sentenza opera una presunzione di infelicità che stride con altri provvedimenti legislativi e giudiziari nazionali ed extranazionali, i quali invece sono stati adottati sulla base di una presunzione di felicità (spesso trascurando studi scientifici di varia natura, come quelli psicologici) di creature che, proprio come Charlie, non hanno ancora la capacità di esprimere una volontà propria.   

Presunzione di felicità 

Mentre i giornali danno la notizia della spina che oggi sarà staccata al piccolo Charlie, sulle stesse pagine dei rotocalchi compare la foto di Cristiano Ronaldo con i suoi gemelli, nati da utero in affitto. È uno stridore che fa venire alla mente molte altre situazioni, come l'affido dei bambini a coppie di persone dello stesso sesso.
Evidentemente, bisogna avere il coraggio di dirlo, i tribunali e i legislatori decidono con grande facilità ciò che rende felice o infelice un bambino. Per esempio, sappiamo tutti che in Italia un bambino può essere adottato da persone single solo in casi particolarissimi, che di fatto rendono in realtà preclusa questa possibilità alla maggioranza degli individui che vorrebbero aiutare un minore senza genitori, donandogli amore, cure, educazione e nonostante a volte le richieste arrivino da persone sane fisicamente e psicologicamente e senza problemi economici.
Siamo dinanzi a disparità ingiustificabili, in cui di volta in volta si tirano fuori motivazioni sul benessere psicologico, sulla stabilità affettiva dei minori, sull'importanza del nucleo familiare.
Sentenze come quelle che riguardano Charlie evidenziano proprio la mancanza di criteri veramente oggettivi e unici al riguardo e palesano una sorta di arbitrarietà che dovrebbe impensierirci e farci chiedere quale rotta stia imboccando la nostra società (e soprattutto i detentori del potere normativo e giudiziario) se il diritto alla vita e alla salute vengono messi in discussione fino al punto che sia un giudice a decidere chi possa curarsi e chi no, chi possa vivere e chi no, a sancire sulla base di criteri apparentemente uguali, ma in realtà di volta in volta sbilanciati ora a favore di una tesi ora di un'altra, quali persone possano assicurare il meglio per un minore.
Sembriamo essere passati attraverso gli estremi di un filo, dall'importanza del nucleo familiare così come è sempre stato riconosciuto anche dal diritto naturale (un uomo e una donna uniti in matrimonio) all'apertura di possibilità per maternità surrogata e coppie dello stesso stesso, negando però, come fa questa sentenza, che i diritti di una vera e propria famiglia possano essere esercitati.
Ho letto commenti in cui i genitori del piccolo Charlie sono stati criticati per aver voluto esercitare un diritto al figlio. Anche questo è inquietante. Sono altri gli atteggiamenti che esprimono la mentalità del diritto al figlio, e niente hanno a che vedere con il desiderio di due genitori di offrire tutte le possibilità a un bambino di continuare a vivere e di vivere meglio. I genitori di Charlie hanno dato il giusto peso al fondamentale e più inalienabile dei diritti: quello alla vita.
La sentenza della Cedu, invece, sembra introdurci in una sorta di eugenetica moderna e dovrebbe spaventarci tutti, perché mina ancora di più il già minato istituto della famiglia, ma anche e soprattutto quello alla vita, e distorce l'idea della scienza – e del progresso a esso collegato – che può aprire orizzonti di speranza per molti ammalati.
E apre uno spartiacque pericoloso sulla presunzione di felicità che, in fondo, potrebbe riguardare molti campi e molte persone, uomini e donne, adulti e bambini.

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