UN SACERDOZIO MISERICORDIOSO
Il "culto" a Dio nella compassione
Il Vangelo di Luca, nel riportare la parabola del buon Samaritano, descrive, in un certo senso - se lo si vuole rileggere anche in termini metaforici - la parabola della vita di ogni essere umano, che mentre è in viaggio, si ritrova sempre a imbattersi in qualcuno e a vederlo. In fondo è quel che accade al sacerdote, al levita e anche samaritano, nel momento in cui incappano nell'uomo caduto nelle mani dei briganti, lasciato mezzo morto sul ciglio di una strada e tanto in cattive condizioni da non essere in grado di chiedere aiuto autonomamente, ma costretto ad attendere che un altro - il prossimo - riconosca il suo bisogno e venga in suo soccorso.
Eppure - ed è questo l'elemento bomba del passo lucano - tra camminare e vedere si innestano solo in un caso il quarto e il quinto verbo: farsi accanto, avere compassione.
UNA STORIA DI VICINANZA
Al di là delle ben note considerazioni esegetiche sul brano, si può provare a focalizzare l'attenzione sull'insegnamento generale che Gesù vuole inculcare negli ascoltatori, al di là del fatto in sé.
Parlare di un uomo mezzo morto, di un sacerdote, di un levita e di un samaritano; parlare della strada che da Gerusalemme va a Gerico; descrivere l'assalto dei briganti da cui parte il racconto: sono tutti espedienti attraverso i quali Cristo "ingigantisce" la storia, la rende paradossale al limite dell'immaginabile, per provare uno scuotimento interiore, una reazione nell'uditorio, per far indignare dinanzi all'impassibilità di alcuni (anzi, di illustri alcuni), alla mancanza di cuore e di rispetto per una cosa sacra quale è la vita umana.
Il sacerdote e il levita
Il sacerdote e il levita rappresentano gli illustri personaggi della storia. Attori dei quali non si ricorda il nome, ma la funzione, il ruolo e, proprio per questo, si lascia intendere che avrebbero dovuto avere la capacità di capire quale fosse la cosa giusta da fare, il bene da preservare, anzi, da salvare.
Per tal motivo il loro atteggiamento rende la narrazione una storia dal forte impatto emotivo. Un sacerdote e un levita, due persone a stretto contatto con il culto divino, due persone in teoria più vicine a Dio, non riescono a farsi più vicine a un uomo, a un loro simile, a uno creato a immagine e somiglianza di Dio.
Nella loro testa si scatena un dilemma: è più importante evitare ogni possibilità di contaminazione e di impurità (come sarebbe avvenuto se avessero toccato un uomo "morto", come magari potevano ipotizzare fosse il malcapitato) del soccorrere un uomo?
Passare oltre
Il sacerdote vede e "passa oltre". «Non soltanto va oltre; il testo greco, alla lettera, dice che "passa dalla parte opposta della strada". Questo verbo indica l'intenzionalità di non voler vedere quella miseria e non essere preso dal rimorso di avere abbandonato un moribondo al suo destino» [1] .
Anche il levita "passa oltre". Eppure anche lui vede.
Ma cosa vedono?
Probabilmente vedono un... calcolo: un uomo, mezzo morto, del quale non vogliono realmente accertarsi se sia ancora vivo o meno, perché per farlo dovrebbero avvicinarsi... e, se lo facessero, forse finirebbero con l'essere troppo dentro, troppo coinvolti e non riuscirebbero a venirne fuori.
Così mettono a tacere in partenza ogni rimorso e richiamo di coscienza. Fingono, probabilmente, di vedere un uomo morto, per usare questa giustificazione finanche con Dio. È morto, non c'è più nulla da fare!
O forse, semplicemente, ragionano solo con la testa dei riti e dei precetti, e passano oltre per evitare di perdere tempo inutilmente, perché non potrebbero soccorrere comunque quell'uomo, rischiando di rendersi impuri.
Quante volte l'uomo si comporta allo stesso modo! Passa oltre l'altro, passa dalla parte opposta per evitare di coinvolgersi, di entrare nella sofferenza altrui, nel bisogno dell'altro. Passa oltre, prendendo la scorciatoia di un certo perbenismo che crede di poter sfoggiare anche dinanzi a Dio! Ma Dio, e Gesù lo dichiara apertamente, non attribuisce valore a questo tipo di atteggiamento.
Quale "sacerdozio"?
Si dà realmente gloria a Dio, si eleva realmente un culto a Lui gradito, trascurando il dovere della carità verso gli altri?
Si è veramente "sacerdoti" (consacrati a Dio, appartenenti a Dio) onorando i precetti, ma non amando gli uomini?
È un quesito che non riguarda - in maniera semplicistica - i soli ministri ordinati; ogni battezzato è rivestito di un sacerdozio comune, che lo rende consacrato a Dio, anzi, di più: tempio di Dio. Così, il primo altare - per così dire - su cui celebrare il culto, è l'uomo stesso, attraverso la sua vita, i suoi sentimenti, i suoi gesti.
Allora, rigirando la domanda, si può chiedere: che sacerdote è l'uomo, quando pensando di giustificarsi davanti a Dio per aver recitato molte preghiere o seguito scrupolosamente dei riti, ha trascurato di esercitare la carità verso gli altri?
Gesù pone anche l'uomo di oggi davanti a questa domanda: il culto o la carità? La purezza fatta solo di preghiere e riti esteriori, o una purezza che si alimenta anche di amore per il prossimo?
Non si può dissociare la carità dal culto, ma la carità diventa - in senso lato - culto, quando un atto di carità, di misericordia improrogabile chiama all'appello, e non c'è altri cui poter affidare il compito. Quando si diventa prossimi di qualcuno è lì che si unisce il sacrificio dell'amore al sacrificio di Cristo.
Passare accanto: il buon Samaritano
Questo probabilmente non lo sapeva il buon Samaritano. Samaritano, dunque «eretico, emarginato dalla comunità cultuale d'Israele, nemico, simbolo dell'impurità, creduto incapace di vero atteggiamento verticale» [2]. Eppure è attraverso la figura di quest'uomo così malvisto nella società giudaica del suo tempo che, in questa parabola, Gesù insegna come coniugare veramente l'atteggiamento verticale (verso Dio) e quello orizzontale (verso l'uomo).
Il Samaritano è l'unico a farsi vicino e ad avere compassione. Proprio quell'uomo che non dovrebbe avere legge morale, religione, scrupolo di coscienza, è capace di farsi prossimo dell'uomo incappato nei briganti. Colui che non dovrebbe avere un Dio a cui rispondere del proprio agire, risponde al richiamo della propria coscienza e al richiamo della vita, la cui dignità merita di essere tutelata contro le barbarie umane.
IL VERO SACERDOZIO
Quel Samaritano dimostra che servendo l'uomo si serve veramente Dio, al di là delle sole prescrizioni cultuali. E solo servendo l'uomo il servizio a Dio è veramente sincero, coerente. «La carità copre una moltitudine di peccati» dirà Pietro in 1 Pt 4, 8 e San Giovanni, nella sua prima epistola, mette in guardia dall'ipocrisia e dalla falsità nel rapporto tra fede e carità: «Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo. Se uno dice: "Io amo Dio" e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede» (1 Gv 4, 19-20).
Non si può essere realmente sacerdoti se non nella comunione fraterna, nella capacità del cuore di avvicinarsi all'altro, di com-patire con l'altro. Nell'altro si incontra Dio, nel gesto misericordioso si manifesta Dio all'altro. San Paolo scriverà: «Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale» (Rm 12,1).
L'essenza del sacerdozio di Cristo è esattamente questa: un'offerta di se stesso, nel suo atto donativo d'amore per la salvezza dell'altro, nella sua capacità di farsi prossimo, buon Samaritano per ogni uomo.
«Dov'è carità è amore, lì c'è Dio». Lo dicono le parole di un canto liturgico, lo dice anche la parabola del buon Samaritano. Lo dice la vita di Cristo crocifisso e risorto.
NOTE
[1] Gabriele Maria Corini, Contro la sciatica del cuore, San Paolo, 2015, p. 86.
[2] Mario Galizzi, Vangelo secondo Luca, Elledici, 2001, p. 250.
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