domenica 26 aprile 2015

"COME IL PADRE, COSI' IO, COSI' ANCHE VOI": riflessioni a margine della Parola


Il Vangelo di questi ultimi giorni sta cercando di focalizzare la nostra attenzione sul concetto genesiaco dell'essere umano che, essendo stato creato ad immagine e somiglianza di Dio (cfr. Gn 1,27), dovrebbe (il condizionale è d'obbligo, visto il libero arbitrio che ci attribuisce il Creatore) rispondere al "modello" di perfezione che ritrova in Cristo Gesù, l'Uomo perfetto, il Dio con noi.
E' una parolina uscita dalla bocca di Gesù che ci sospinge su queste riflessioni: "come".



“Come il Padre conosce me e io conosco il Padre; e offro la vita per le pecore”.

(Gv 10,15)



“Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me”.

(Gv 6, 57)



La prima pericope è estrapolata dal Vangelo odierno (Gv 10,1-10), mentre la seconda risale alla Liturgia di venerdì scorso. In realtà, tutto il Vangelo di Giovanni risuona di questi "come il Padre, così io...così anche voi":
 


Come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a chi egli vuole”.    (Gv 5,21)


Come infatti il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso anche al Figlio di avere la vita in se stesso”.    (Gv 5,26)

                             
Parlo come il Padre mi ha insegnato”.   (Gv 8,28)

Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi”.
(Gv 13,15)

Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri”.   (Gv 13,34)

Come il Padre mi ha comandato, così io agisco”.  (Gv 14,31)

Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore”.  (Gv 15,10)

Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi”.   (Gv 15,12)

Padre santo, custodiscili nel tuo nome, quello che mi hai dato, perché siano una sola cosa, come noi”.   (Gv 17,11)


Il "come" ci porta alla necessità di rintracciare lo stile, la misura, la modalità dell'amore del Figlio e, prima ancora, del Padre.
COME dal lat. QUOMODO, "nel qual modo".
Insomma, Gesù ha fatto le cose alla maniera del Padre, nel Suo stesso modo; anche noi siamo chiamati ad agire e, anzi, ad essere "come" Padre e Figlio.
Il "come" del Figlio è insegnamento sotto vari punti di vista.
Uno è quello descritto da San Paolo: l'obbedienza (cfr. Fil 2,8).
Il Figlio è venuto liberamente e liberamente ha donato la vita per noi (è quello che sottolinea il Vangelo di oggi), ma, essendo Parola DEL Padre, altro non ha detto e fatto se non quello che il Padre ha progettato nel Piano di Salvezza dell'uomo decaduto a causa del peccato.

Il secondo è quello della fiducia: il Figlio, agendo "come" il Padre ha dimostrato di nutrire, nonostante tutto, fiducia nell'essere umano. Gli ha offerto una seconda possibilità.
Come Uomo, Gesù si è fidato del Padre, e come Dio ha "scommesso" sugli uomini, dando loro un anticipo di fiducia, offrendo la riconciliazione, facendo il primo passo...

Il terzo è quello dell'amore: il Figlio, nel suo operare "come" il Padre ha lasciato che lo Spirito Santo colmasse di amore tutti i Suoi gesti umani, passando e benficando quelli che incontrava.

Questo "come" ci interpella.
Il Figlio ha fatto tutto "come" il Padre, affinché noi possiamo fare tutto "come" Lui, anzi...come Loro, come le Tre Persone della Trinità.
 L'invito di Gesù a fare "come" Lui, seguendo l'esempio che ci ha lasciato, lo riassume San Paolo, nella sua Lettera agli Efesini:


"Fatevi dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi, e camminate nella carità, nel modo in cui anche Cristo ci ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore".
(Ef 5,1-2)
 
Il Vangelo del Buon Pastore, quest'oggi, ci ha detto la stessa cosa: il Buon Pastore da' la sua vita per le pecore.
E noi? Sappiamo diventare imitatori di Cristo, che come Uomo si è fatto imitatore del Padre, nell'amore dello Spirito Santo?
Il Padre ci ha donato il Figlio Unigenito, quanto di più prezioso avesse;
il Figlio ci ha donato il Volto del Padre, riflesso nel suo Volto e ci ha offerto lo Spirito Santo, l'amore che li lega...e lo Spirito ci ha profuso i Suoi santi doni.
Se vogliamo rispondere al "come" di Cristo dobbiamo diventare uomini e donne del "dono", nelle varie sfumature e declinazioni pratiche, concrete, corrispondenti alla chiamata e ai talenti di ciascuno. 
Se vogliamo essere come il "Bel Pastore" (la traduzione esatta è questa), dobbiamo essere dispensatori della Bellezza della Trinità.
Ma potremo portare bellezza nel mondo, se in noi abita il male?
L'imitazione di Cristo è dunque sentiero di conversione e di ricerca costante della santità.
Per essere luce del mondo è necessario alimentarsi della Luce Vera (cfr. Mt 5,14; Gv 8,12; Gv 1,9)!
Per essere imitatori del Bel Pastore, del Buon Pastore, occorre comprendere che a ciascuno di noi è affidata - in vario modo, a vario titolo - una porzione di quel gregge, di quelle pecore che Gesù si è caricato sulle spalle.
Lo sposo dovrà custodire la sposa (e viceversa); i genitori dovranno custodire i figli e i figli custodiranno i genitori infermi o anziani; l'amico dovrà custodire l'amica; l'insegnante pascerà i suoi studenti; il presbitero avrà la grande, straordinaria missione del custodire in modo più simile a Gesù il Suo gregge; i consacrati custodiranno quelli che Dio affiderà loro...
Gesù è Pastore e ci chiama alla sequela anche in questo: a tutti, anche se non allo stesso modo, oggi dice: "Pasci le mie pecore"! (Gv 21,17)

martedì 21 aprile 2015

NOSTALGIA DI DIO... riflessioni a margine del Vangelo di oggi


In quel tempo, la folla disse a Gesù: 
«Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? 
Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: “Diede loro da mangiare un pane dal cielo”».
Rispose loro Gesù: 
«In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, 
ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. 
Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo».
Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane».
Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; 
chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!».



Il Vangelo di oggi (Gv 6, 30-35) ci presenta una scena che manifesta la tipica "impazienza" dell'uomo alla ricerca, e al contempo la sua "estrema" praticità, che a volte rasenta il limite della superficialità.
Gesù ha moltiplicato i pani e i pesci (all'inizio del capitolo 6) e la gente, vedendo questo miracolo, comincia a cercarlo, pensando di aver trovato in Lui la soluzione pratica al problema della propria fame.
Ma Gesù non viene per sfamare una fame materiale, di pane comune. Cristo viene per darci Sè Stesso, Pane del Cielo, il Pane della Vita Eterna.
Ecco il perché di questo discorso alla folla,  che oggi la Liturgia della Parola ci propone. 
Gesù sembra voler mettere i classici puntini sulle i: a chi Lo cerca per saziare un bisogno fisiologico, la risposta che Egli offre non è una seconda moltiplicazione dei pani e dei pesci, ma la "rivoluzione" che tanto scandalo produrrà in alcuni (cfr. Gv 6,52). 
Siamo chiamati a nutrici non di pane, ma di Pane, di Gesù, Figlio di Dio, Verbo Incarnato.
La massa sembra capire e prorompe in una frase che veramente ha sapore di eternità: "Dacci sempre di questo pane".
Chissà se veramente tutti avevano capito quello che il Maestro intendeva dire...chissà se qualcuno, in cuor suo, non continuava a pensare alla stessa maniera di prima, e chissà se quella parola apparentemente così piena di fede, non fosse invece una sorta di compromesso: accontentare quell'uomo che si diceva Figlio di Dio, per continuare ad avere quel pane comune, che aveva sfamato un numero inimmaginabile di persone.
Eppure, escludendo chi avrà agito solo per opportunismo, nell'atteggiamento della folla che si mette a cercare Gesù e che intavola con Lui questo dialogo, è possibile rintracciare quella "nostalgia" del divino che è presente in ciascuno di noi. 


Il desiderio di Dio è inscritto nel cuore dell'uomo, perché l'uomo è stato creato da Dio e per Dio; e Dio non cessa di attirare a sé l'uomo e soltanto in Dio l'uomo troverà la verità e la felicità che cerca senza posa.

 (CCC 27)



Lo diceva bene un grande santo...uno di quegli uomini che, prima di arrivare a capire cosa fosse quel profondo desiderio di amore che era in lui, ha attraversato la vita cercando di soddisfare la sua sete in molti, errati modi.

 Mi riferisco a Sant'Agostino, che così scrisse nelle sue Confessioni:

          Ci hai fatti per te, e il nostro cuore non ha posa finché non riposa in te. 

(Sant'Agostino, Confessioni, I,1,1 )


L'uomo reca in sè stesso una sorta di "nostalgia" di Dio.
Ma cos'è la nostalgia?
Quando stamattina, meditando sul Vangelo, organizzavo questi pensieri, mi è balenata alla mente un'espressione letta sull'ultimo numero del Bolettino Salesiano, in un racconto della "buonanotte": "Nostalgia è l'amore che rimane".
Quando Dio ci ha creati lo ha fatto per amore.
Ha posto in noi un seme di quell'amore infinito.
La nostalgia umana di Dio è in primo luogo questo: l'amore che consciamente o incosciamente percepiamo. Sant'Agostino lo esprime con l'espressione "non darsi pace", che altri traducono come "inquietarsi". Il cuore umano è inquieto, senza pace, finché non raggiunge ciò che desidera. E per farlo, deve capire CHI desidera: Dio, il Creatore, l'Amore stesso.
Nostalgia, anche sul piano etimologico, ci rimanda a questo "amore" per l'Amore, ma, ancora più radicalmente, ci indirizza all'essenza dell'essere creatura.
La creatura ha un Creatore; gli uomini sono amati dall'Innamorato per sempre; ognuno di noi ha una casa da raggiungere, o meglio, una casa a cui tornare.

NOSTALGIA : 
dal greco NOSTOS il ritorno al paese, alla cui radice vi è NAS- andare a casa, abitare. In sanscrito ritroviamo questa parola come SAM-NAS-E vengo presso alcuno 
e da ALGIA per ALGOS: dolore, tristezza.

Nostalgia è la tristezza che proviamo finchè non facciamo ritorno a casa, finché non troviamo il Qualcuno in cui vivere.

Siamo chiamati a vivere in Cristo: la nostra casa è Lui, è il Suo Cuore che ci accoglie, è la Sua stessa vita che ci sfama, è il Suo amore che ci sazia per sempre.
Se la nostalgia umana si cancellerà definitivamente solo con l'ingresso nel Regno dei Beati, già su questa terra, cibandosi di Cristo, questo dolore può essere placato.
Il nostro cuore trova ristoro nel Cuore di Cristo, laddove il Suo amore per noi brucia in un incendio che arde senza consumarsi mai.