martedì 30 settembre 2014

TRIDUO A SANTA TERESA DEL BAMBIN GESU': "LA GIOIA DELIRANTE" - terzo giorno -


TRIDUO  A SANTA TERESA DI GESU' BAMBINO E DEL VOLTO SANTO
 O Dio, nostro Padre, 
 che apri le porte del tuo regno  
agli umili e ai piccoli,   
fa' che seguiamo   
con serena fiducia la via tracciata 
 da santa Teresa di Gesù Bambino, 
perché anche a noi  
si riveli la gloria del tuo volto.
AMEN
                                                                                                                            
SECONDO GIORNO: "LA GIOIA DELIRANTE"


"Perché parlare di gioia delirante?
No, questa espressione non è giusta.
Si tratta piuttosto della pace calma e serena del navigatore che intravede il faro che deve condurlo al porto.
O Faro luminoso dell'amore, so come arrivare fino a te, ho scoperto il segreto per impadronirmi della tua fiamma!
O Gesù, lo so, l'amore si paga soltanto con l'amore: perciò ho cercato e ho trovato il modo per calmare il mio cuore rendendoti Amore per Amore.
Non ho altro mezzo per provarti il mio amore che gettare fuori, cioè non lasciar sfuggire nessun piccolo sacrificio, nessuno sguardo, nessuna parola, approfittare di tutte le cose più piccole e farle per amore"!

Teresa troverà la sua gioia nell'essere "evangelizzatrice" attraverso l'amore, quell'amore che in tutto - anche nella ferialità del quotidiano - può essere sparso come fosse un cestino di petali di fiori da lanciare verso il Cielo per attirare a Gesù le anime.
In questa gioia del "fare per amore" si trova la vera felicità. Teresa lo scopre e arriva così ad approfondire la carità, a "comprendere" la carità, in modo nuovo e più completo, proprio durante la sua vita di carmelitana.

Scrive Papa Francesco nell'Evangelii Gaudium (n.266): 
"Non si può perseverare in un’evangelizzazione piena di fervore se non si resta convinti, in virtù della propria esperienza, che non è la stessa cosa aver conosciuto Gesù o non conoscerlo, non è la stessa cosa camminare con Lui o camminare a tentoni, non è la stessa cosa poterlo ascoltare o ignorare la sua Parola, non è la stessa cosa poterlo contemplare, adorare, riposare in Lui, o non poterlo fare. Non è la stessa cosa cercare di costruire il mondo con il suo Vangelo piuttosto che farlo unicamente con la propria ragione. 
Sappiamo bene che la vita con Gesù diventa molto più piena e che con Lui è più facile trovare il senso di ogni cosa. È per questo che evangelizziamo. 
Il vero missionario, che non smette mai di essere discepolo, sa che Gesù cammina con lui, parla con lui, respira con lui, lavora con lui. Sente Gesù vivo insieme con lui nel mezzo dell’impegno missionario. 
Se uno non lo scopre presente nel cuore stesso dell’impresa missionaria, presto perde l’entusiasmo e smette di essere sicuro di ciò che trasmette, gli manca la forza e la passione. 
E una persona che non è convinta, entusiasta, sicura, innamorata, non convince nessuno".

 "La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. 
Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia". (E.G. n.1)

Sull'esempio di Santa Teresina, chiediamo al Signore che ci faccia sperimentare la gioia di incontrarLo e di seguirLo, la gioia di donarLo agli altri, certi che nel "darsi" non c'è perdita, perché il Signore è sempre...addizione!

lunedì 29 settembre 2014

TRIDUO A SANTA TERESA DEL BAMBIN GESU' - "L'amore racchiude tutte le vocazioni" - secondo giorno


TRIDUO  A SANTA TERESA DI GESU' BAMBINO E DEL VOLTO SANTO
 O Dio, nostro Padre, 
 che apri le porte del tuo regno  
agli umili e ai piccoli,   
fa' che seguiamo   
con serena fiducia la via tracciata 
 da santa Teresa di Gesù Bambino, 
perché anche a noi  
si riveli la gloria del tuo volto.
AMEN 


                                                                                                                            
SECONDO GIORNO: "L'AMORE RACCHIUDE TUTTE LE VOCAZIONI"!



"Durante l'orazione i miei desideri mi facevano soffrire un vero e proprio martirio. Aprii le epistole di San Paolo per cercare qualche risposta.
Mi caddero sotto gli occhi i capitoli XII e XIII della prima lettera ai Corinzi.
Nel primo lessi che non tutti possono apostoli, profeti, dottori, ecc..., che la Chiesa è composta da diverse membra e che l'occhio non potrebbe essere al tempo stesso la mano.
La risposta era chiara, ma non appagava i miei desideri, non mi dava la pace.
Senza scoraggiarmi continuai la lettura e questa frase mi rincuorò: Cercate con ardore i doni più perfetti; ma io vi mostrerò una vita ancora più eccellente.
E l'Apostolo spiega come tutti i doni più perfetti non sono niente senza l'Amore...
Che la Carità è la via eccellente che conduce sicuramente a Dio.
Finalmente avevo trovato il riposo!...
La Carità mi diede la chiave della mia vocazione.
Capii che la Chiesa aveva un corpo, composto da diverse membra, il più necessario, il più nobile di tutti non le mancava: capii che la Chiesa aveva un Cuore e che questo Cuore era acceso d'Amore.
Capii che solo l'Amore faceva agire le membra della Chiesa: che se l'Amore si dovesse spegnere, gli Apostoli non annuncerebbero più il Vangelo, i Martiri rifiuterebbero di versare il loro sangue...
Capii che l'Amore racchiudeva tutte le Vocazioni, che l'Amore era tutto, che abbracciava tutti i tempi e tutti i luoghi! ... Insomma, che è Eterno.
La mia vocazione l'ho trovata finalmente! La mia vocazione è l'Amore!" 

Anche questo passo è tratto dal manoscritto B dell'autobiografia di Santa Teresa di Lisieux.
E' il punto di svolta nella sua "vocazione nella vocazione", quello che le consente di comprendere la "specificità" propria del suo essere carmelitana.
Chiamata alla vita contemplativa, chiamata a vivere in un modo tutto nuovo e speciale la dimensione della carità.
Chiamata a mostrare - attraverso questa sua chiamata e la sua risposta - questo suo essere "amore" anche al mondo, per insegnare agli altri come essere "amore".
"Dio è amore" (1Gv 4,8), scrive san Giovanni.
Il centro del Vangelo è dunque questa rivelazione di un Dio che è Amore e che vuole amare e lasciarSi amare: in Sè Stesso e nelle Sue creature.
"Chi non ama non ha conosciuto Dio" (1 Gv 4,8).
Ecco perché in Teresina la carità diventa un principio, un mezzo ed il fine: il Tutto, potremmo dire.
Scrive Papa Francesco nell'Evangelii Gaudium (n.265): "Tutta la vita di Gesù, il suo modo di trattare i poveri, i suoi gesti, la sua coerenza, la sua generosità quotidiana e semplice, e infine la sua dedizione totale, tutto èprezioso e parla alla nostra vita personale.
Ogni volta che si torna a scoprirlo, ci si convince che proprio questo è ciò di cui gli altri hanno bisogno, anche se non lo riconoscono.
A volte perdiamo l'entusiasmo per la missione dimenticando che il Vangelo risponde alle necessità più profonde delle persone, perché tutti siamo stati creati per quello che il Vangelo ci propone: l'amicizia con Gesù e l'amore fraterno.
Abbiamo a disposizione un tesoro di vita e di amore che non può ingannare.
E' una risposta che scende nel più profondo dell'essere umano e che può sostenerlo ed elevarlo.
La nostra tristezza infinita si cura soltanto con un infinito amore".

Queste parole finali sono quasi un quadro della vita di una santa come Teresa di Lisieux, che ha affrontato fin da piccola la grande sofferenza per la perdita della madre, il distacco dalla sorella più amata (che divenne carmelitana) e che poi, già monaca al Carmelo, dovrà fare i conti con il dolore per la malattia mentale e la successiva morte dell'amato papà.
Eppure in Teresa la gioia non si spegne: perché solo in Gesù e nel Suo Amore vi può essere pienezza (cfr Gv 15,11)! 
Solo in Dio è possibile trovare la forza per continuare ad annunciare la gioia del Vangelo anche in mezzo ai dolori della vita.
E' Dio che - in Cristo - ci assicura della speranza certa che tutti risorgeremo e che dunque, se lo vogliamo, se scegliamo di abbracciare la vita di Grazia, in Lui ci sarà la felicità eterna!

domenica 28 settembre 2014

TRIDUO A SANTA TERESA DEL BAMBIN GESU': "Je voudrai parcourir la terre"... - primo giorno -

 
Quest'oggi comincia il triduo a Santa Teresa del Bambin Gesù e del Volto Santo: nell'anno segnato dalla pubblicazione dell'Evangelii Gaudium di Papa Francesco e a poche settimane dall'arrivo a Roma dell'urna con le reliquie della Santina (in occasione del Sinodo sulla famiglia), ho pensato di dedicare questi tre giorni di preghiera e riflessione al tema dell'Evangelizzazione.
Non a caso santa Teresa avrebbe desiderato essere carmelitana missionaria e sebbene la salute non le consentì di vedere realizzato questo suo desiderio ardente, non venne mai meno la sua capacità "spirituale" di "percorrere" tutta la terra, come ella stessa aveva scritto nella sua autobiografia.
Teresa di Lisieux percorse la terra (e la percorre ancora oggi!) con il suo messaggio dell'infanzia spirituale e le reliquie che di volta in volta sostano in Paesi diversi sono quasi un "segno" concreto e visibile di questo suo passare, attraversare i tempi e la storia....nonché le vite spirituali di molte anime. Il "logo" della peregrinatio di queste reliquie non è infatti altro che la frase estrapolata dalla sua biografia, questo "vorrei percorrere la terra".
Affidiciamoci dunque a lei chiedendole di renderci fiaccole ardenti dell'amore di Cristo, di quel fuoco che non si può trattenere, ma va comunicato.
Santa Teresa ci insegna che non è necessario essere "fisicamente" missionari per evangelizzare. Ciascuno può farlo nella misura in cui sente l'urgenza di annunciare Cristo.
E' attuale il bisogno della "nuova evangelizzazione" ed anche questo è - deve essere - per ciascun credente, un motivo ed uno stimolo in più per non cercare scappatoie dall'impegno di essere annunciatori di Colui che è Parola di Vita eterna.
L'amore - come forza che crea, sana e rinnova ogni cosa - sarà ciò che consentirà di essere missionari, capaci di superare le barriere temporali e geografiche.
Santa Teresa volle essere - nella Chiesa - l'Amore e dunque, diventando amore (ad immagine e somiglianza del Dio Amore) ciascuno potrà essere missionario, annunciatore, evangelizzatore.

Buon triduo a tutti!


 TRIDUO  A SANTA TERESA DI GESU' BAMBINO E DEL VOLTO SANTO
 O Dio, nostro Padre, 
 che apri le porte del tuo regno  
agli umili e ai piccoli,   
fa' che seguiamo   
con serena fiducia la via tracciata 
 da santa Teresa di Gesù Bambino, 
perché anche a noi  
si riveli la gloria del tuo volto.
AMEN
                                                                                                                            
PRIMO GIORNO: "JE VOUDRAIS PARCOUIR LA TERRE.."



"Je voudrais parcouir la terre"...: "Vorrei percorrere la terra"! Ecco l'anelito più intimo dell'anima di Santa Teresa di Lisieux, il desiderio del suo cuore infiammato dell'amore di Dio!
Nel "Manoscritto B" dell'autobiografia teresiana (più nota come "Storia di un'anima"), Teresina lascia sfogo all'ardore della sua vocazione:
"Nonostante la mia piccolezza, vorrei illuminare le anime coe i Profeti, i Dottori! 
Ho la vocazione d'essere Apostolo...
Vorrei percorrere la terra, predicare il tuo nome e piantare sul suolo infedele la tua Croce gloriosa!
Ma, o mio Amato, una sola missione non mi basterebbe: vorrei al tempo stesso annunciare il Vangelo nelle cinque parti del mondo e fino nelle isole più lontane... 
Vorrei essere missionaria non solo per qualche anno, ma vorrei esserlo stata dalla creazione del mondo ed esserlo fino alla consumazione dei secoli...
Ma vorrei soprattutto,o mio Amato Salvatore, vorrei versare il sangue per te fino all'ultima goccia!..."
Quest'ultimo passaggio è determinante per la nostra riflessione: Gesù non ha risparmiato nulla di Sè Stesso, ha donato tutto per salvarci.
La risposta del credente a questo dono senza misura non può che essere "speculare" e laddove ciò non arrivi a compiersi attraverso il martirio fisico, è innegabile che esso debba almeno realizzarsi passando per la donazione totale dell'io: dispendio di energie e di tempo, di carità e di preghiera per annunciare il Vangelo. Per annunciare Cristo.

Scrive Papa Francesco nell'Evangelii Gaudium (n. 264): "La prima motivazione per evangelizzare è l'amore di Gesù che abbiamo ricevuto, l'esperienza di essere salvati da Lui che ci spinge ad amarlo sempre di più.
Che amore è quello che non sente la necessità di parlare della persona amata, di presentarla, di farla conoscere?"
La risposta potrebbe essere scontata: quando l'amore "si sente" è facile - ricorrendo ad un'espressione comune - gridarlo ai quattro venti.
Spesso, però, la vita interiore alterna momenti di grande fervore sensibile a sprazzi di aridità spirituale più o meno intensi.
Santa Teresina ne era cosciente e non disdegnava di ricorrere a "piccoli atti di carità" quasi "cercati" tra le pieghe del quotidiano, per far contento Gesù e buttare un po' di legna nel fuoco che pareva spento, per farlo ardere di più.
La sua vita di carmelitana, poi, tutta centrata sulla contemplazione, aggiungeva un elemento in più, necessario per ogni attività evangelizzatrice: il respiro della preghiera.
Anche l'esortazione apostolica del Santo Padre indirizza sullo stesso versante:
"Se non proviamo l'intenso desiderio di comincarLo, abbiamo bisogno di soffermarci in preghiera per chiedere a Lui che torni ad affascinarci.
Abbiamo bisogno d'implorare ogni giorno, di chiedere la sua grazia perché apra il nostro cuore freddo e scuota la nostra vita tiepida e superficiale.
Perciò è urgente ricuperare uno spirito contemplativo, che ci permetta di riscoprire ogni giorno che siamo depositari di un bene che umanizza, che aiuta a condurre una vita nuova.
Non c'è niente di meglio da trasmettere agli altri". (Francesco, E.G. n.264) 

Sull'esempio di Santa Teresina e spinti anche dalle parole del Papa, proviamo allora a chiederci se anche in noi arda questo santo desiderio di "annunciare Gesù" e se la risposta è negativa o è ancora troppo debole, sforziamoci di trovare le energie e gli stimoli necessari nella vita di preghiera, in quell'a tu per Tu che ci spinge ad incontrare Cristo, a scoprirLo, a "vederLo".

venerdì 26 settembre 2014

"UN TEMPO PER".... riflessioni a margine della Parola di oggi


Salvador Dalì- Uno dei tanti "orologi molli"- particolare dell'opera "La persistenza della memoria"

La Liturgia della Parola ha cominciato a proporci, a partire da ieri, alcuni brani di uno dei libri sapienzali, il Qoelet, definito anche Ecclesiaste per via della radice del nome, che rimanda all'assemblea (l'ecclesia, appunto).
Quest'oggi il brano (Qo 3,1-11) è tutto focalizzato sul concetto del "tempo" adatto per ogni cosa.
C'è un tempo per tutto - dice Qoelet -, dal nascere al morire, dal piangere al gioire, dal cercare al perdere...e via dicendo.
L'autore del libro sembra voler riassumere il ciclo della vita, che sempre, puntualmente ci ripresenta questa alternanza di sentimenti, situazioni, necessità, desideri e vicende che a volte non dipendono neanche da noi, ma vengono vissute come "subite" o "imposte" (è il caso del tempo per la guerra e per la pace).
L'intento potrebbe essere anche di rassicurazione: "Tutto ha il suo momento, e ogni evento ha il suo tempo sotto il cielo". Quasi a dire: se aspetti che qualcosa accada....attendi, la storia è un cerchio e le cose, girando e rigirando, giungono.
Se sei in guerra...attendi, la pace verrà. Se aspetti la gioia perché ora sei nel pianto....attendi e gioirai.
Ad essere affascinante, però, non è soltanto questa sapienza che sembra voler porre l'accento sulle cose umane, ma la conclusione cui arriva il saggio e che da' una luce divina a queste riflessioni. E' solo questo che permette di passare dalla speranza puramente umana alla speranza cristiana alimentata dalla fede.
Il Qoelet dice: tutto è stato fatto bello da Dio; Egli stesso ha posto nel cuore dell'uomo il senso del tempo e della sua durata, eppure nessuna creatura umana può comprendere la "ragione di ciò che Dio compie dal principio alla fine".
Siamo dinnanzi ad un mistero: dalla creazione nella Genesi, con cui viene innescato il meccanismo cronologico del tempo a quell'Alfa ed Omega che è Cristo (e con cui si chiude l'Apocalisse), nella cui Risurrezione il tempo - anche per l'uomo - smette di esistere e si perpetua solo l'Eternità.
Sostanzialmente, l'Ecclesiaste "traccia" una congiunzione (pur scrivendo secoli prima di Gesù) tra l'inizio e la fine della Bibbia. Tra la genesi della storia e la ricapitolazione della stessa nell'eternità di Cristo Risorto.

Nel Salmo 90 (che ieri faceva la sua comparsa nella Liturgia), si legge:

"Mille anni, ai tuoi occhi,
sono come il giorno di ieri che è passato,
come un turno di veglia nella notte". 
(Sal 90,4)

Ecco, questo è Dio e questo è l'uomo.
Il computo del tempo è connaturale alla nostra natura di creature terrene, ma qualcosa ci sfugge e - allo stesso modo - qualcosa afferriamo: il salmista lo esprime sottolineando il divario del "tempo", e non trova altra modalità per narrarlo, se non applicando anche a Dio i canoni di una misurazione che per Lui in realtà non avviene.
Perché l'uomo può "contare", misurare il tempo. Ma in Dio tutto è soltanto e semplicemente Eternità.
Per ovviare all'impossibilità di una terminologia che sappia definire questa idea, il salmista utilizza la sproporzione tra ciò che per l'uomo è un giorno e che per il Signore diventa come un millennio.
Il lasso è così vasto che riesce a coprire anche il passaggio da un'era all'altra....ciò che si perde finanche a memoria d'uomo, che può essere (oggi) studiato solo sui libri...
Eppure anche ciò che è accaduto e che non si può ricordare ha un suo "senso": un valore temporale per l'essere umano, un valore indescrivibile anche agli occhi di Dio, per il Quale nulla della storia che ha voluto creare, è poco importante o banale.
In quel "tutto è stato fatto bello da Dio" l'Ecclesiaste sembra dire proprio questo: anche se l'essere umano non riesce a capire fino a che punto la storia - destinata ad esaurirsi - sia importante nel piano divino egli ne ha tuttavia sentore e avverte la necessità di dare un volto "eterno" a questa bellezza, a questo "senso", a questa "ragione", alla "direzione" dell'evolversi delle cose a lui sconosciuta.
L'uomo reca in sè il desiderio di "mantenere" la bellezza, di sottrarla alla caducità...questo è quasi un sesto senso innato nell'animo umano.
Anche per questo sarà necessario quel momento in cui, nel Giudizio Universale, tutta la storia sarà realmente ricapitolata in Cristo (cfr Ef 1,10).
Allora, in Lui, nel Suo giudicare col potere attribuitoGli dal Padre, noi conosceremo l'indice del grande libro della storia, ci verranno spiegati i motivi degli ordini cronologici e di senso degli eventi, finalmente saremo appagati nel nostro ardente desiderio di "capire" il perché dell'incedere del tempo e degli eventi con determinate modalità.
E soprattutto, quelle cose belle che Dio ha fatte, saranno ricostituite finalmente belle per sempre, di una bellezza senza fine, senza limite, senza macchia alcuna.
La sete di vita, di eternità e di bellezza che alberga nel cuore dell'uomo, sarà definitivamente appagata.  


"Comprendi la forza di queste tre parole: 
un Dio,un momento,un'eternità.
 Un Dio che ti vede,
 un momento che ti fugge, 
un'eternità che ti attende".


(Don Bosco)



mercoledì 24 settembre 2014

CONSIGLI DI LETTURA: "La gioia di vivere la fede" del Card. Van Thuan


In questi ultimi mesi l'attività apostolica del Santo Padre ci ha spinti a guardare alle figure dei martiri, testimoni della fede fino all'effusione del sangue.
E' stato così durante il viaggio in Corea e così pure Domenica scorsa, quando il Santo Padre ha visitato l'Albania.

Il martire, che nella sua stessa etimologia terminologica rimanda a "testimoniare" ma anche a "ricordare" e "osservare" ci pone davanti alla necessità di far memoria della sua testimonianza e all'impegno per osservarne l'esempio nella vita di ogni giorno, attraverso una fede convinta, senza paura, senza tentativi di mascheramento.

Ci sono però anche dei "martiri viventi", quelli che hanno vissuto il martirio bianco....nessuna effusione del sangue, ma tribolazioni e prove di vario tipo, in nome della fede. Martiri bianchi che sarebbero stati pronti a dare anche la vita per il Signore!
Proprio in Albania, durante la celebrazione dei Vespri, dopo aver ascoltato la toccante testimonianza di due religiosi albanesi, il Papa si è espresso in questi termini:
"Noi possiamo domandare a loro: Ma come avete fatto a sopravvivere a tanta tribolazione?
E ci diranno questo che abbiamo sentito in questo brano della Seconda Lettera ai Corinzi: Dio è Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione. E’ stato Lui a consolarci!.
Ce lo hanno detto con questa semplicità. Hanno sofferto troppo. Hanno sofferto fisicamente, psichicamente, e anche quell’angoscia dell’incertezza: se sarebbero stati fucilati o no, e vivevano così, con quell’angoscia. 
E il Signore li consolava…
E i martiri, e questi due che abbiamo sentito oggi, il Signore li consolò perché c’era gente nella Chiesa, il popolo di Dio - le vecchiette sante e buone, tante suore di clausura… - che pregavano per loro. 
E questo è il mistero della Chiesa: quando la Chiesa chiede al Signore di consolare il suo popolo; e il Signore consola umilmente, anche nascostamente. Consola nell’intimità del cuore e consola con la fortezza. 
Loro, sono sicuro, non si vantano di quello che hanno vissuto, perché sanno che è stato il Signore a portarli avanti. 
Ma loro ci dicono qualcosa! Ci dicono che per noi, che siamo stati chiamati dal Signore per seguirlo da vicino, l’unica consolazione viene da Lui. 
Guai a noi se cerchiamo un’altra consolazione! Guai ai preti, ai sacerdoti, ai religiosi, alle suore, alle novizie, ai consacrati quando cercano consolazione lontano dal Signore!  
Io non voglio “bastonarvi”, oggi, non voglio diventare il “boia”, qui; ma sappiate bene: se voi cercate consolazione altrove, non sarete felici! Di più: non potrai consolare nessuno, perché il tuo cuore non è stato aperto alla consolazione del Signore".

Ripensando a queste parole mi è tornata alla mente la figura di un grande "martire bianco": il Card. Van Thuan, vietnamita, che trascorse 13 anni in carcere, senza mai rinnegare la fede e senza mai perdere la speranza.
Vice-presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace dal novembre 1994 e poi Presidente del Dicastero dal giugno 2001, si è spento il 16 settembre 2002.
Vari suoi scritti sono stati pubblicati, ma oggi vorrei consigliarvi "La gioia di vivere la fede" che già nel titolo ci rimanda alla "gioia del Vangelo" di cui parla anche Papa Francesco nella sua recente Esortazione Apostolica.

Proprio Papa Francesco, nella catechesi di oggi ha affermato:
 "Anche oggi, come ieri, la forza della Chiesa non è data tanto dalle capacità organizzative o dalle strutture, che pure sono necessarie: la sua forza la Chiesa non la trova lì. 
La nostra forza è l’amore di Cristo! Una forza che ci sostiene nei momenti di difficoltà e che ispira l’odierna azione apostolica per offrire a tutti bontà e perdono, testimoniando così la misericordia di Dio". (Udienza generale, 24 settembre 2014)

Il libro del Card. Van Thuan che quest'oggi vi propongo come consiglio di lettura è la raccolta di una serie di conversazioni che alcuni giovani - fruitori in prima persona di questi discorsi - decisero di mettere per iscritto, per non farne perdere memoria.
Il Cardinale effettò poi una selezione dei testi e quelli pubblicati vennero definiti da lui stesso come una sintesi del suo magistero e della sua esperienza di fede.
Se dovessi tracciare un sunto del libro...partirei da una frase: "Il solo fatto di essere battezzato e iscritto in un registro parrocchiale non mi assicura di essere un cattolico dalle giuste dimensioni.
Il vero cattolico deve vivere come Gesù, vale a dire secondo il Vangelo". 
Si potrebbe delineare un primo collegamento alla "gioia": Gesù Cristo, nel Vangelo, dice espressamente di volerci comunicare la Sua gioia:
 "Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena" (Gv 15,11).
Siamo nel capitolo in cui si parla di amore verso gli altri, di vite e di tralci...ma anche delle persecuzioni del mondo contro il credente.
Ecco dunque il tema della gioia...nonostante il martirio.
Gesù è Vita, Gesù è Amore: "possedere" e  comunicare tutto questo è motivo di gioia, anche in mezzo alle prove, perché permane la speranza del "per sempre" in Colui che è Risorto, quale primizia di coloro che sono destinati alla morte(cfr 1 Cor 15,20).

Il Card. Van Thuan ci permette di approfondire il concetto dell'essere "santi sempre" (nella felicità e nel dolore...):"Non si può essere santi a giorni alterni. Le parole di Gesù: Faccio sempre ciò che piace al Padre, significano: Vivo ogni momento colmo d'amore.
Come si può amare oggi in tale misura?
Basta vivere ogni giorno, ogni ora, ogni minuto come l'ultimo della propria vita.
Lasciare da parte ciò che è contingente e concentrare l'animo sull'essenziale.
Devo dedicare a ogni persona il mio amore, il mio sorriso.
Devo avere paura di sciupare ogni istante e di dovere poi pentirmi per non averlo vissuto bene. In ogni istante porto la vita divina in questo tempo preciso; in ogni momento converto ogni mio lavoro, seppur piccolo, in azione di Dio". 

Colui che scrive ha vissuto sulla propria pelle l'esperienza della prigione....la difficoltà finanche di celebrare la Santa Messa, l'impossibilità di avere con sé la Bibbia, l'isolamento totale per nove anni dei tredici di prigionia.
Quella "vita divina" che ciascuno ha la possibilità di portare nel tempo, il Card. Van Thuan l'ha portata alimentandola di Cristo, Speranza Viva.
"Coltiva sempre la speranza; non lasciarti abbattere dalle difficoltà interiori, anche se sono dovute al tuo apostolato.
La linea retta è formata da una sequenza infinita di piccoli punti, uniti uno all'altro.
Anche la vita è fatta di milioni di secondi e di minuti, uniti uno all'altro.
Disponi bene ogni singolo punto e la linea sarà rettà.
Vivi con perfezione ogni minuto della vita, e questa sarà santa".

Con uno sguardo attento anche alla dimensione sociale dell'essere cattolici, ed alle "dieci grandi malattie che" la "corrompono" (e che rischiano di corrompere anche i singoli...) e alle paure del "fallimento", l'autore vuole spingere il lettore ad assumere la consapevolezza di essere "nel mondo, ma non del mondo" e di avere il compito di "cambiare e rinnovare la società".
L'analisi è lucida, puntuale, concreta, ma corroborata dall'uso di un linguaggio simbolico che ne rende la lettura ancora più affascinante.

Stupenda è poi la penultima sezione del libro, dal titolo "PERCHE' HO SCELTO GESU'", testo del 1988, pronunciato nella cappella degli Oblati di Maria Immacolata a Strasburgo (Francia).

«Gesù è infinitamente misericordioso, infinitamente degno di amore.
Quanto a me, sono stato attirato da Lui tutta la vita, perché amo i suoi "difetti"».
Ad un occhio solo razionale ed egoista, fattori come la Misericordia di un Dio che perdona all'ultimo minuto al buon ladrone, o di un Pastore che lascia novantanove pecore nel campo per andare alla ricerca dell'unica smarrita e, ancora, di un Padrone di casa che invita al Suo banchetto gli straccioni del paese....sarebbero solo "difetti".
Sono questi (ed altri) i "difetti" di Gesù che hanno incantato il Card. Van Thuan.
Sono questi i "difetti" (o gli eccessi d'Amore, le follie d'Amore!) che dovrebbero incantare ogni cristiano e far sentire, giorno dopo giorno, la "gioia di vivere la fede", la fede in un Dio che "ci ama" ed il cui "amore supera ogni ragionamento umano"!

Questa è stata la fede dei martiri, questa deve essere la fede di ogni cristiano, se vuole essere realmente "testimone", annunciatore del Vangelo.

martedì 16 settembre 2014

STORIA DI UNA VEDOVA, MADRE DI UN FIGLIO UNICO ... Anche a noi è stato dato un Figlio!


Miracolo del figlio della Vedova di Naim, Mario Minniti - Messina, Museo Regionale
Lc 11,7-17: storia di una vedova, madre di un figlio unico.
Il Vangelo di oggi mi piacerebbe re-intitolarlo così, concentrando l'attenzione sulla figura femminile che incontra Gesù alle porte della città.
Nel luogo dove stanno per seppelire anche quel figlio unico di quella donna già provata dalla vita, in quel posto in cui - simbolicamente - tutto il suo mondo di donna avrebbe dovuto essere sigillato, rinchiuso...messo sotto silenzio. Col figlio morto si quadrava il cerchio degli affetti perduti. Tutto in una tomba. Tutto sotto terra. 

Tutto finito.
Ma è qui che nella storia di questa donna avviene una svolta.
La stessa linguistica ce lo insegna: esiste un termine per identificare il figlio che perde un genitore, un coniuge che perde lo sposo....ma non vi è lessico capace di tradurre in un solo vocabolo la condizione (psicologica, sociale, giuridica) di un genitore che perda un figlio.
L'incapacità della lingua, della grammatica e della semantica di tracciare/spiegare una situazione tanto complessa sembra evidenziare proprio l'evidenza che la morte vorrebbe sconfiggere.
Si rimane genitori per sempre.
Nulla togliendo a chi perda marito o moglie, ma tutto sembra condurre a pensare che l'affetto di e per un figlio sia un'esperienza completamente "a parte".
Distante da tutte le altre, superiore a tutte le altre. Tale da non "mutare" nella sostanza nemmeno con la morte. Esperienza indicibile, incatalogabile, a tempo indeterminato. Di più: senza scadenza.
Indubbiamente perché "viscerale", perché il figlio lo si genera con una parte di sé, e lo si porta (per una madre) dentro di sé.
Non è dunque un caso se Gesù opera miracoli di risurrezione proprio in circostanze simili.
E questo non è l'unico...come dimenticare la figlia di Giario? In Lc 8,40,56, un capitolo più avanti rispetto al Vangelo di oggi.
Ancora una figlia morta, ancora una figlia "unica".
D'altronde, Gesù - in quanto Verbo e quindi Dio - conosce in primo luogo il "sacrificio" del Padre che decide di offrire il Figlio Unigenito per la salvezza del mondo.
L'esperienza trinitaria dell'Amore Lo rende capace di "umanizzare" il dolore di un genitore per la perdita "umana" di un figlio.
Anche Dio Padre - umanamente parlando - nella Crocifissione perderà l'Umanità del Figlio.
La ritroverà nella Risurrezione, quando "per mezzo del Verbo e per opera dello Spirito Santo" richiamerà il Figlio alla Vita.
Se leggiamo tutto nell'ottica del prologo Giovanneo e della teologia paolina, sappiamo che tutto si compie così, nella dimensione trinitaria.
Il Padre attua per mezzo del Figlio e per opera dello Spirito.
Volendo essere ancora più "cristologici", si potrebbe anche dire: nel Figlio incarnato l'umanità divina di Gesù "vive" sulla propria pelle l'esperienza della paternità.
"Chi ha visto me, ha visto il Padre" (Gv 14,9).
Gesù è la "personificazione" visibile del Padre e del Suo "sentire" in quanto tale. 
Gesù è per noi il Volto del Padre e ci ama anche come Padre, soffre anche come Padre, porta in Sè l'aspetto "umano" di questo sentire paterno verso tutta l'umanità.
Anche Isaia lo dice, quando parlando del Messia afferma:
"il suo nome sarà: Padre per sempre" (Is 9,5)
Nella Passione questo aspetto della "paternità" resa palpabile in Cristo e nel Suo Cuore, tocca il culmine: il dolore per le anime che in tutti i tempi si perderanno sarà già anticipato nella sudorazione di sangue al Getsemani (in uno dei tanti significati che si può dare a quel fenomento) e sulla Croce troveremo quasi in forma "tangibile" il contrasto tra i figli che si perdono e quelli che si salvano e tra la sofferenza di Dio per i primi e la gioia per i secondi.
I due ladroni crocifissi accanto al Cristo ne sono esemplificazione più che concreta.


Gesù ha però anche un'altra figura di riferimento per comprendere il dolore di un genitore che rimane senza un figlio.
Stavolta il punto di paragone non è divino, è umanissimo. Sebbene al più alto livello di umanità, quello che realmente rasenta il divino: Maria Immacolata. La creatura più pura di tutte e quella che più di tutte ha sofferto.
Anch'ella vedova, ma - soprattutto - anch'ella Madre, Madre di un figlio unico.
Maria di Nazareth,  la Madre del Figlio più unico al mondo...unico con la U maiuscola.
La Madre sul cui dolore Gesù può misurare (se così si può dire) il dolore umano di ogni altro genitore.
La scena del Cristo che dice alla donna "Non piangere"! (Lc 7,13) richiama la scena del Calvario: "Donna, ecco tuo figlio" (Gv 19,26).
Madre...non piangere. Tuo figlio sarà sempre tuo figlio. 
Anche quando non ci sarà....il tuo amore di madre potrai riversarlo in tutto ciò che farai, perché sarai Madre per sempre. Giovanni sarà tuo figlio. L'umanità sarà "figlio". Il tuo essere Madre sarà qualcosa in te come un dna...visibile nel tuo stesso modo di essere, parlare, agire...

E' stupenda la scena di Gesù che tocca la bara e "restituisce" il figlio alla vedova di Naim.
E' toccante la parola che prima gli rivolge: "Dico a te, alzati"! (Lc 7,14)

A questo punto possiamo immaginare che qualcosa di simile - e non è un paradosso - avverrà anche nella tomba nuova, dove Gesù giacerà avvolto nel sudario, e la pietra rotolata davanti all'ingresso del sepolcro occulterà agli occhi umani la meraviglia del momento della Sua Risurrezione.
"E Dio disse".... ed anche allora quella Parola del Padre per mezzo del quale tutto fu fatto parlerà ancora...
Non è eresia, dire che anche la Risurrezione di Cristo avviene "per mezzo" del Verbo: "io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. 
Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio".(Gv 10,17-18)
Allora la scena di Naim può proiettarci verso il Sabato Santo e, nel farci "comprendere" (o almeno provarci!) qualcosa della "compassione" di Gesù per il dolore della madre e della Madre, spingerci a dire al Signore: anche noi vogliamo amarti con amore "materno", quell'amore che nemmeno la morte terrena può spezzare, tanto che le parole non trovano un termine per descriverne l'ìnterruzione. Perché si è genitori per sempre, perché la maternità e la paternità vanno oltre i legami terreni, è il DNA della stessa relazione trinitaria che Dio ha voluto impiantare nell'uomo. Dio è talmente "padre" da aver dato il Figlio per noi, per salvare quanti Lo hanno accolto!

Chiediamo a Gesù che ci faccia "Madri" come Egli stesso dice, quando afferma che chiunque fa la volontà del Padre diviene tale (Mt 12,50); chiediamoGlielo ricordando le parole di Isaia, che già anticipano questo mistero e con la ferma speranza che ciò che noi ora possiamo vedere solo con gli occhi della fede, sarà per noi certezza quando potremo finalmente essere per sempre uniti a Cristo Signore! :
 
"Perché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio"! (Is 9,5
)

venerdì 12 settembre 2014

SANTISSIMO NOME DI MARIA - Tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare: invochiamo Maria, la "Stella del Mare"!


Quella del Santissimo Nome di Maria è una memoria "facoltativa", ma di certo molto sentita nella devozione popolare e coltivata anche per via dell'onomastico che in tanti festeggiano proprio quest'oggi.

Ricollegando la Liturgia della Parola del Venerdì della XXIII settimana del T.O. all'Ufficio delle Letture proprio di questa memoria mariana, si può trovare qualche spunto di riflessione che ci aiuti ad incrementare l'affidamento a Maria.

Il Vangelo di oggi (Lc 6,39-42) è "duro", spinge ad un'introspezione approfondita, che non si fermi solo all'esteriorità di un dire da cattolici, ma che porti ad un "essere" e "fare" anche nell'interiorità da cattolici.


Il dire cattolico è quello di chi agisce un po' in stile farisaico: assolvere le esteriorità del cattolicesimo, quelli che sono "precetti" e poi....razzolare male. Conoscere, magari, anche tutta la dottrina e la teologia, ma non viverla sulla propria pelle. Fermarsi al rimprovero saccente verso i fratelli.
In sostanza proprio quello che Gesù non desidera, e che nel Vangelo di oggi non esita a definire come "trave nell'occhio".
Anche San Paolo, in fin dei conti, nella Prima Lettura (1Cor 9,16-19.22-27) sottolinea la stessa cosa: il Vangelo non va annunciato come fossimo professori a "pagamento".
Il Vangelo "feriale", quello del quotidiano, quello che ci fa sentire di essere "parte" (sono parole proprio di San Paolo, che scrive "diventarne partecipe"!) va annunciato per "necessità": solo quando il Vangelo entra in noi, quando comprendiamo che Esso è Parola, Verbo di Dio....allora possiamo comprendere l'esigenza paolina.
Chi vive il Vangelo come qualcosa di "reale", capace di trasformare la persona e la vita, non può separarsi da Esso.
Chi fa questa esperienza del Vangelo incontra non una cosa, ma una Persona: Dio Incarnato.
Questo incontro cambia l'esistenza, rende possibile un cammino "a due": l'uomo accanto a Dio, Dio con l'uomo. L'Emanuele "Dio con noi" diviene il compagno di viaggio verso la meta finale, quella che in San Paolo è descritta con la metafora della corsa.
Se vogliamo raggiungere Dio, il Suo Regno, allora dobbiamo vivere secondo quel Regno annunciato nel Vangelo e seguire la Parola di Dio, che ci è stata data dal Figlio.

Come passare dal....dire cattolico al "fare"-essere cattolico?
Tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare.
Espressione popolare quanto mai adatta ad una riflessione mariana.
Maria, "Stella Maris", stella del mare.
Così la si invoca da secoli, così san Bernardo scrive in uno dei suoi sermoni, riportati nell'Ufficio delle Letture per la memoria facoltativa del Ss. Nome di Maria:

"Diciamo qualche parola su questo nome, che si traduce come "Stella del mare" e che conviene perfettamente alla Vergine Maria.
La si compara a ragione ad un astro che diffonde la sua luce senza diminuire d'intensità, così come la Vergine partorisce suo Figlio senza perdere nulla della sua purezza verginale.
I raggi non diminuiscono la luminescenza dell'astro ed il Figlio non toglie nulla all'integrità della Vergine.
Ella è questa nobile stella uscita da Giacobbe, i cui raggi illuminano l'universo intero, brillano nei cieli e penetrano fin negli abissi.
Ella irradia la terra, riscalda le anime anziché i corpi, favorisce lo sviluppo delle virtù e consuma i vizi.
Ella è questa stella bella e meravigliosa che, indispensabile, doveva levarsi al di sopra del mare immenso con la brillantezza dei suoi meriti e la luce del suo esempio.
Chiunque tu sia, in questo mare che è il mondo, tu che piuttosto che calcare la terra ferma ti senti sballottato quaggiù, nel mezzo di uragani e tempeste, non distogliere mai i tuoi occhi dalla luce di quest'astro, se non vuoi vederti subito sommerso dai flutti della marea. Se il vento delle tentazioni ti assale, se gli scogli della sventura ti si parano davanti, guarda la Stella, rivolgiti a Maria.
Se la collera, l'avarizia, la seduzione della carne sballottano la fragile barca della tua anima, rivolgi il tuo sguardo a Maria.
Quando, tormentato dall'enormità e dall'atrocità delle tue colpe, vergognoso per le sozzure della tua coscienza, terrorizzato dalla minaccia del giudizio, cominci ad essere afferrato dal baratro della tristezza e dall'abisso della disperazione, pensa a Maria.
Nei pericoli, nell'angoscia, nell'incertezza, invoca Maria.
Che il suo nome mai abbandoni le tue labbra ed il tuo cuore.
E per ottenere il sostegno della sua preghiera, non cessare di imitare l'esempio della sua vita.
Seguendola, non ti smarrirai; pregandola, non conoscerai la disperazione, pensando a Lei, non ti sbaglierai. Se Ella ti sostiene, non affonderai; se Ella ti protegge, non avrai timore di nulla; sotto la sua guida non temere la fatica; con la sua protezione raggiungerai il porto.
Tu proverai allora, con la tua personale esperienza, con quale verità siano state dette quelle parole: II nome della Vergine era Maria.

Maria è quell'occhio "vergine", puro, privo di pagliuzze e di travi che è capace di venire in nostro soccorso, per levare via dai nostri occhi tanto gli ingombri più grossi, quanto quelli più minuti.
Entrambi possono impedirci di "vedere oltre", appannandoci la vista o coprendo totalmente il campo visivo o una parte di esso.
Maria è colei che ci permette di passare dal dire al fare, dal dire all'essere...
Invochiamo allora il Nome di Maria; invochiamolo con fede!
Don Bosco diceva che già invocarla con il nome di Maria Ausiliatrice, nella famosa giaculatoria "Maria, Aiuto dei Cristiani, prega per noi"! era mezzo efficace per ottenere da lei molte grazie.

Meditiamo allora sulle parole di San Bernardo e impariamo quell'audicia di figli, di bambini piccoli che con fiducia, in ogni pericolo, pongono sulle proprie labbra il nome della Mamma!

Buon onomastico a quanti portano il nome di Maria!