sabato 8 aprile 2023

Pensieri per lo spirito

 IL SILENZIO DELLA RISURREZIONE

Riflessioni sul Sabato Santo (anno A)





Gherardo delle Notti, Cristo morto pianto da due angeli (1612-1613)
Palazzo Reale, Genova – Fonte: Palazzo Reale di Genova

 
  «Gli amici veri, pochi, uno? / sanno ascoltare anche il silenzio, /
sanno aspettare, capire. / Chi di parole da me ne ha avute tante /
e non ne vuole più, / ha bisogno, come me, di silenzio». (Alda Merini)




Il sabato santo è giorno di silenzio. Silenzio della morte, silenzio dopo la morte. 
È il giorno di quel torpore innaturale in cui sempre si piomba dopo il grande dolore per la perdita di una persona cara. Un silenzio in cui si fanno spazio il dubbio, l’incomprensione, i quesiti esistenziali o, semplicemente, lo sbigottimento.
Il Sabato Santo non ci chiede, però, di fare domande, di riempire il silenzio delle nostre parole. Ci chiede di sostare in questo silenzio, nell’apparente “riposo” di Dio. Di quel Dio che ha parlato, una volta e per sempre, attraverso il Verbo Incarnato. 
A noi tocca, nella fittizia assenza di suono di questo giorno, aspettare nella speranza, fidandoci di quelle parole che Egli ci ha lasciato, fidandoci cioè dell’unica, vera Parola. Rinunciando a quella nostra forte tentazione di coprire ogni sentimento, ogni situazione, ogni paura e ogni gioia, e finanche l’altro che ci sta davanti, di troppi, e spesso inutili, superflui vocaboli che nulla aggiungono all’esenzionale di ciò che viviamo, di ciò che conta, di ciò che siamo.
D’altronde, sul parlare e sul tacere Gesù è stato chiaro: «Pregando non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole» (Mt 6,7) e «Sia invece il vostro parlare: “Sì, sì”, “No, no”; il di più viene dal Maligno”» (Mt 5,37). Perché, come recita un antico proverbio, «la parola è d’argento, il silenzio è d’oro» ed è vero allora quanto afferma il Quoelet: c’è «un tempo per tacere e un tempo per parlare» (Qo 3,7).
Dio non è per l’eccesso, ma per l’equilibrio: il troppo parlare diventa uno spreco della parola stessa, il depotenziamento della sua puntualità, della sua concisione che sa andare dritta al nocciolo della questione. Se parlare diventa l’atto sublime che mette in comunicazione due creature, e, soprattutto, il Creatore e la sua creatura, il troppo parlare diviene spreco, il mandare in malora (da exprecari) quando non, addirittura il maledire, come raccontano i verbi deprecare e imprecare, contenenti la stessa radice etimologica del pregare.
Gesù ha saputo parlare perché ha saputo anche tacere e ascoltare. Ascoltare non solo le voci del mondo – voci di protesta, di richiesta, di rifiuto – ma addirittura il silenzio del Padre sulla Croce, nel momento dell’estremo bisogno di una parola di salvezza. In quel silenzio Cristo è riuscito a pronunciare il proprio sì, intuendo che se Dio tace non è per negare le sue promesse, ma per insegnarci la fiducia nella Parola verace che non tradisce. E così Gesù ha anche ascoltato il silenzio del mondo, il silenzio di chi si è lavato le mani scappando da sotto la croce, il silenzio di chi ha avuto paura, il silenzio di chi è rimasto nell’indifferenza. Un silenzio al quale Egli dà il beneficio del dubbio nella richiesta di perdono per tutti al Padre, perché «non sanno quelli che fanno» (Lc 23,34). 
E ancora oggi Cristo ascolta il silenzio delle nostre fughe, dopo le nostre troppe parole vane di fedeltà incondizionata. Come un vero amico sa rispettare i nostri silenzi, le nostre “sparizioni” nel buio della notte, attendendo il nostro ritorno.  
Ora chiede a noi di essere suoi veri amici e di ascoltare il suo tacere, di aspettare con fiducia ricordando ogni sua promessa, nell’assenza di altre parole – sue e nostre –, che la Parola si compia, che la vita rinasca.
Nel silenzio della Risurrezione. 

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