sabato 3 maggio 2014

STORIA DI CATERINA FARNESE, principessa e carmelitana - 4a parte





  Carissimi amici del blog, prosegue la pubblicazione del testo sulla vita di Caterina Farnese - principessa e carmelitana scalza.





Lo scritto - curato dalle monache carmelitane scalze del monastero di Parma - è in corso di pubblicazione sulla rivista "Il Carmelo oggi".

 Qui trovate la terza parte.


Buona lettura!







Caterina Farnese, principessa e carmelitana

- quarta parte - 


Caterina Farnese, al tempo in cui indossava già l'abito carmelitano



Ammiratori di alto lignaggio…


Tra coloro che si interessarono a Caterina non mancano nomi illustri. 
Quando il suo ritratto arrivò alla corte del Re Sole, il giovane sovrano, che aveva già veduto i ritratti di tutte le Principesse d'Europa, sentenziò che la più bella era - come egli la chiamava - la Cadetta di Parma.  
Non sappiamo se alla lusinghiera dichiarazione facesse seguito qualche mossa di carattere più ufficiale; in ogni caso Luigi XIV finì per sposare nel 1659 l'infanta di Spagna Maria Teresa, anteponendo l'interesse politico a qualunque altra ragione.

Nell'antica biografia si racconta pure che venne propo­sto a Caterina il sovrano d'Inghilterra Carlo II, altro partito regale ancora disponibile: Se questi mi fosse mai proposto - troncò in fretta Caterina - ricuserò da vero, perché non mi sarà mai possibile amare un uomo alieno dalla Chiesa di Dio, e generar figlioli al Demonio.

E’ certo invece che una proposta in piena regola fu quella fatta a Caterina dal principe Massimiliano di Innsbruck, fratello dell'arciduca d'Austria Leopoldo I d'Asburgo. 
La principessa, tra il desolato imbarazzo dei familiari, mandò a monte la proposta e lo stesso fece con numerose altre proposte di nozze blasonatissime che padre Massimo cita di sfuggita.




…rifiutati sistematicamente


Caterina motivava i suoi no con una risposta che rien­trava bene nel suo "personaggio"; affermava infatti che non si sarebbe assoggettata ad uomo alcuno, se non fosse Re­gnante. Tuttavia, considerando la giovinezza di Caterina nella sua globalità, ci è lecito pensare a ragioni più serie e più degne della sua intelligenza e del suo cuore.

In primo luogo Caterina, che abbiamo visto così aliena dai compromessi e dagli accomodamenti, non si sarebbe comunque adattata ad un matrimonio dettato dalla ragion di stato; per giunta, amava la propria indipendenza e volle il suo gran cuore sempre libero.

Tali motivazioni tuttavia, per quanto più nobili, non erano ancora le più vere e le più profonde.





Un geloso segreto


Il fatto è che Caterina fin dall'adolescenza cominciò a sentire – malgrado il suo aborrimento per i chiostri - il richiamo alla vita religiosa; e l'intima convinzione di doversi prima o poi consacrare a Dio, se anche non le impediva bizzarrie e capricci, le impediva però di porre il suo affetto in persona veruna.

I cortigiani si chiedevano il perché delle inquietudini di Caterina e, lontanissimi dall'immaginarne la vera causa, facevano mille supposizioni. Qualche lingua pettegola parlò di nozze andate a monte o di qualche grave offesa ricevuta; la principessa, ben allenata fin dall'infanzia a non curarsi dell'opinione altrui, lasciava dire, nascondendo nel suo cuore la piaga.

Ed il padre Massimo, con il quale Caterina - ormai monaca - si sarebbe confidata alcuni anni più tardi, ci traccia un quadro vivace e veritiero di questa situazione contraddittoria e, dopo averci descritto la principessa occu­pata in battute di caccia o intenta a seguire allegre rappre­sentazioni buffonesche, conclude dicendo che il fondo del cuore però era di Dio.





Devozione indevota


Questo cuore che, suo malgrado, era di Dio, doveva tuttavia fare i conti con quello spirito bizzarro che abbiamo già avuto modo di conoscere. 
Caterina continuava a detesta­re le forme esteriori di devozione e imponeva i suoi atteggia­menti spavaldi perfino ai santi, i quali, così come i familiari, non dovevano avezzarsi a dirle di no.  
Se qualche santo non l'esaudiva, mai più non faceva ricorso; e per non trovarsi costretta a fare altrettanto con la sua amata Santa Teresa, si era proposta di non chiederle grazia alcuna.

La sua devozione indevota, come la chiama padre Massimo, si manifestava anche in altre originalità. 
Per salvaguardarsi dagli sguardi curiosi e dai commenti indi­screti, aveva fatto rilegare allo stesso modo l'Ariosto e l'Ufficio della Madonna, e così le dame di corte non potevano sapere che cosa stesse leggendo la principessa. 
In questa ritrosia singolare rientra anche la risposta che ebbe a dare quando le chiesero quali fossero i santi a lei più cari: Io venero tutti i Santi, ma li miei cari son quelli, che mai non dissero o scrissero li fatti loro.

Se i santi stessi dovevano fare i conti con il carattere della principessa, ancor più continuavano a farli i familiari e in particolare la madre, Margherita de’ Medici.

I rapporti fra le due donne non migliorarono con gli anni: le reazioni capricciose di natura infantile poco a poco lasciarono il posto ad una indipendenza di giudizio osten­tata e distaccata; ed il risultato finale era sempre lo stesso; una penosa incomprensione che sembrava ormai destinata a diventare irreversibile.



Nella giovinezza di Caterina trovava posto anche il sacrificio volontario. 
Per esempio mangiava cibi completamente insipidi o ripugnanti al suo gusto, oppure sfidava il freddo invernale evitando di fare riscaldare il letto; nonostante assumesse un’aria del tutto disinvolta, c’era chi se ne accorgeva e glielo faceva notare.  
Sapete perché l'ho fatto? - rispondeva con garbo elegante - Per accostumarmi a tutto, e per far prova in me stessa se è vero ciò che per proverbio si dice: che si fa tutto ciò che si vuole.  
La mortificazione rimaneva così nascosta e la fama di princi­pessa indomabile ne usciva rafforzata. 
Al sigillo della contraddizione non si sottraevano neppure i gesti di carità, che la principessa compiva in gran numero a beneficio delle inferme di corte. 
Le assisteva, le sosteneva, e volentieri preparava loro il cibo con le sue stesse mani. 
Ma gli scatti impetuosi del suo carattere erano sempre in agguato. 
Una volta portò a una malata una minestra fumante, che la donna indugiava a trangugiare perché troppo calda. 
Caterina non ci pensò due volte, e un attimo dopo la scodella era in frantumi sul pavimento.



Intanto gli anni passavano e Caterina, per quanto giovanissima, aveva un'età in cui la maggior parte delle principesse erano già spose e madri. 
A corte ci si preoccupava del suo futuro; ed ella, forse seguendo una segreta ispirazione, o forse dicendo per scherzo una battuta che si sarebbe rivelata profetica, rispondeva così: Io so che a venticinque anni sarò accasata.














I genitori di Caterina: un matrimonio d’amore
Il fidanzamento di Odoardo Farnese con Margherita de’ Medici  fu “combinato” come di più non si potrebbe: i due bambini avevano otto anni allorché le rispettive famiglie stabilirono che un giorno sarebbero stati marito e moglie. 
Eppure da questo contratto – incredibile per la mentalità odierna – scaturì un matrimonio d’amore come se ne videro pochi nelle corti dell’epoca. 
I piccoli, pur conoscendosi solo di nome, presero con estrema serietà il loro impegno e il giovane Odoardo, che prima delle nozze visitò svariate corti d’Europa, stupì tutti per il suo comportamento integerrimo, a dispetto dei costumi del tempo, delle belle dame che lo corteggiavano e dei trascorsi a volte torbidi dei suoi antenati. 
Margherita non fu da meno, e appena quindicenne ebbe il coraggio di opporsi al grande Richelieu che le aveva proposto le nozze con il Duca d’Orléans, fratello di Luigi XIII. 
Il motivo del suo no? Voleva rimanere fedele a Odoardo. 
Il quale, a sua volta, dichiarò che per difendere il fidanzamento con Margherita era disposto a sfidare le ire della potente corte francese. 
A coronamento di tante reciproche prove d’amore, il matrimonio ebbe finalmente luogo quando i ragazzi avevano sedici anni. 
Un matrimonio felice, con l’unico “difetto” di essere durato troppo poco: Odoardo morì in seguito a una polmonite a poco più di trent’anni, e Margherita dedicò il resto dei suoi giorni all’educazione dei figli e alle opere di carità.




Parma e il teatro: una passione antica

La nota passione dei parmigiani per il teatro e per il melodramma in particolare deve molto al governo dei Farnese, che promossero lo spettacolo con dispendio di mezzi e con criteri innovativi, come quello di estendere la cultura teatrale anche al popolo. 
I teatri, fra pubblici e privati, si contavano a decine. Tra essi spiccava lo splendido Teatro Farnese, una raffinatissima costruzione in legno voluta da Ranuccio I per onorare il passaggio del Granduca di Toscana e destinata, nelle intenzioni originarie, a essere smantellata subito dopo. Il teatro non solo possedeva gli ingegnosi, tipici macchinari secenteschi che permettevano ai diversi personaggi di discendere dall'alto o di risalire in cielo, ma era anche strutturato in modo che la parte bassa potesse essere allagata per ospitare la simulazione di battaglie navali o la ricostruzione di scene marine e mitologiche. Con le sue amplissime gradinate, rimase fino all’inizio del ‘900 il più grande teatro italiano, e ancora oggi vanta una stagione prestigiosa. E pensare che era nato come teatro usa e getta

Nessun commento:

Posta un commento