mercoledì 23 marzo 2016

Pensieri per lo spirito


ASCOLTARE DIO PER ASCOLTARE L'UOMO
Imitare Cristo nell'obbedienza, per misericordiare* il fratello


Cristo - il Servo di Jahvè - è un Uomo - ma anche un Figlio - capace di "ascoltare" ogni giorno, momento per momento (ossia sempre) la voce del Padre. Da questo ascolto e dall'obbedienza alla volontà paterna nasce, in Gesù, la capacità di farsi prossimo, cireneo, samaritano dell'essere umano. La Parola Incarnata, così, diviene parola che soccorre gli sfiduciati di ogni tempo.



Salita al Calvario, Giotto


«Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo, 
perché io sappia indirizzare una parola allo sfiduciato. 
Ogni mattina fa attento il mio orecchio 
perché io ascolti come i discepoli.
Il Signore Dio mi ha aperto l'orecchio 
e io non ho opposto resistenza, 
non mi sono tirato indietro». 
(Is 50, 4-5)


UNA PAROLA DI FIDUCIA E DI SPERANZA

Il "Terzo canto del Servo" - nel libro del profeta Isaia - è totalmente applicabile a  Gesù, che dunque viene descritto come uomo mite e mansueto che non ha rifiutato di presentare il «dorso ai» suoi «flagellatori, le guance» a quanti gli hanno strappato «la barba», e che non ha sottratto «la faccia agli insulti e agli sputi» ( Is 50,6).
Nel testo in ebraico il verbo che l'italiano riporta come «indirizzare» è in realtà il verbo «aiutare». Si legge infatti: «per aiutare (lo) stanco (con una) parola» [1].
Questa differenza linguistica mette maggiormente in evidenza il "ruolo" della parola, la sua potenza, la sua capacità, per così dire, di guarigione. La parola è capace di "giovare" (aiutare deriva, in sintesi, da ad e iuvare, "giovare a") all'uomo, di recargli un qualche sollievo. La parola di Gesù diventa, quindi, una parola che viene a prestare soccorso a quanti vivono un momento di smarrimento, di sfiducia, di stanchezza.
Sembra riecheggiare Is 35,4: 
«Dite agli smarriti di cuore:
"Coraggio, non temete!».
Il messaggio che Cristo è venuto a portare con la sua incarnazione è esattamente questo: Dio è venuto a salvarci (cfr. Is 35,4). Di cosa c'è da avere paura? Dio si è fatto uomo per l'uomo. Dio si è fatto crocifiggere per redimere l'umanità.
Il Verbo -  la Parola del Padre - proclama con tutta la sua esistenza umana, e con la sua risurrezione, questo messaggio. Il messaggio per chi si sente stanco, sfiduciato. Il messaggio per chi vive nel timore di una vita chiusa, insoddisfacente, senza prospettive; il messaggio per chi non vede altro "oltre" la materialità dell'esistenza; il messaggio per chi non trova aiuto negli altri uomini.

Ascoltare, prima di parlare

Il "Terzo canto del Servo" sottolinea  il sentimento della fortezza, della sicurezza che anima il Servo di Jahvè. È ciò che accade a Gesù, sostenuto dalla presenza amorosa del Padre:
«Il Signore Dio mi assiste,
per questo non resto svergognato,
per questo rendo la mia faccia dura come pietra,
sapendo di non restare confuso.
È vicino chi mi rende giustizia» (Is 50, 7-8).
Cristo ha vissuto in prima persona le esperienze  umane in cui ci si potrebbe lasciare andare allo scoraggiamento, alla sfiducia. La sua vittoria, però, è derivata dalla sua capacità di aver saputo "ascoltare" la volontà del Padre. Ecco perché, anche quando sulla Croce ha affrontato l'abbandono apparente, Gesù ha continuato ad affidarsi - generosamente - proprio a Dio Padre. L'obbedienza e l'ascolto vanno di pari passo. Già l'etimologia stessa lo sottolinea: «il verbo "obbedire" è imparentato con il verbo "ascoltare". Questo vale in italiano, che deriva dal latino, in greco, ma anche in ebraico e in arabo. Addirittura in ebraico, in assenza di una radice propria, per esprimere l’obbedire (oltre al semplice verbo "ascoltare") si usa un sintagma che, tradotto letteralmente, significa "ascoltare nella voce". L’obbedienza, quindi, è un ascolto che si fa azione e una azione condotta "stando nella parola" ascoltata, tenendola nel cuore, continuando ad ascoltarla, ritrovandone in ogni momento la freschezza e l’attualità, la saldezza e la sicurezza…» [2].
Quell'obbedienza che san Paolo elogia proprio in Cristo, e che è talmente tanto intensa da farlo arrivare fino all'obbedienza più drammatica - la morte di Croce - (cfr. Fil 2,8), viene enucleata anche da Isaia, nel "Terzo canto del Servo":  
«Ogni mattina fa attento il mio orecchio 
perché io ascolti come i discepoli.
Il Signore Dio mi ha aperto l'orecchio 
e io non ho opposto resistenza, 
non mi sono tirato indietro» (Is 50,4-5).
L'obbedienza di Cristo nasce dall'ascolto della "voce", della volontà del Padre.
Proprio perché, dunque, Egli rimane in questa volontà, Gesù si rende capace di «indirizzare» la sua parola agli sfiduciati di ogni tempo. L'agire storico e salvifico di Cristo non è dettato dal sentimentalismo del momento; non si tratta di un messaggio contingente, modificabile, ma eterno. La volontà di Dio, infatti, è immutabile, ed è una volontà "per", a favore della vita, della salvezza, dell'amore. La possibilità - per Gesù - di essere cireneo, samaritano, prossimo dell'uomo, trova proprio in questo la sua spiegazione e la sua sorgente. Gesù rimane nel Padre, come il Padre è in Lui (cfr. Gv 14,20). La parola del Cristo Uomo è dunque parola del Verbo che è in comunione, in "simbiosi", in armonia perfetta con il Padre. 

Ascoltare Dio per ascoltare l'uomo

Se si vuole imitare Gesù è necessario imparare da Lui. Il Servo di Jahvè si è reso «ogni mattina» (Is 50,4) disponibile all'ascolto, cioè, ha saputo mantenere viva la capacità di ascoltare la voce del Padre, ma anche di permanervi e di attuarla, di renderla concreta. Il credente è invitato a fare altrettanto. Ascoltare ogni giorno Dio, per poter fare ogni giorno la sua volontà, momento per momento; ascoltare per agire; ascoltare per comunicare quella stessa parola che dà forza, coraggio, speranza, che comunica amore e fiducia.
Questo ascolto può avvenire nella Liturgia, nei Sacramenti, nella meditazione sulla Sacra Scrittura, nella preghiera, e deve poi tradursi nella capacità di ascoltare il fratello che si incontra nel quotidiano.
Dio desidera la salvezza dell'uomo, e questa salvezza passa attraverso dei gesti di amore, che testimonino la concretezza, la solidità di questo Suo desiderio, che ne siano espressione.

Ascoltare per misericordiare *

Chi ascolta Dio ascolta il suo "cuore". In tal modo si diventa capaci di gesti di vera misericordia. L'uomo sarà allora in grado di riconoscere lo sfiduciato che incontra lungo il suo cammino. Quello a cui rivolgere una parola di consolazione o di incoraggiamento; quello verso cui tendere la mano per una carezza e quello a cui fare compagnia; quello con cui pregare e quello per cui pregare. Ma anche quello da attendere, e quello da riabbracciare perdonando; quello seguire da lontano e quello a cui insegnare da vicino.
La misericordia umana sarà la capacità dell'uomo di com-patire come Cristo ha compatito, vivendo "visceralmente" i dolori e i bisogni degli uomini da salvare; sarà la capacità di farsi cirenei di quanti portano una croce di sofferenza; samaritani del fratello che le vicende della vita hanno lasciato mezzo morto, sul ciglio di una strada; prossimo di colui che versa nel bisogno morale, psicologico, materiale.
Ma non va dimenticato che per "fare" la misericordia, occorre prima - come non manca di ripetere papa Francesco - lasciarsi "misericordiare". Ascoltare, cioè, quella voce di Dio  che parla da "Cuore a cuore", trasmettendo a ogni creatura quella parola d'amore e di salvezza, che nel suo Figlio si è resa visibile.


NOTE

Neologismo coniato da papa Francesco.

[1] Roberto Reggi (a cura), Profeti, Traduzione Interlineare Italiana, Edb, 2011, p. 111.

[2] Laura Invernizzi, Obbedienza e ascolto, Sito Internet delle Ausiliarie Diocesane.




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