domenica 20 marzo 2016

Pensieri per lo spirito


«GRIDERANNO ANCHE LE PIETRE»
Il creato parla di Dio 


La Settimana Santa si apre con la commemorazione liturgica dell'ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme. Questo episodio si conclude con una frase ripresa dall'Antico Testamento, che apre lo scenario a una riflessione sul rapporto tra Creatore, creato e creatura.




Ingresso di Cristo a Gerusalemme, Hippolyte Flandrine (1842)



In quel tempo, Gesù camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme. Quando fu vicino a Bètfage e a Betània, presso il monte detto degli Ulivi, inviò due discepoli dicendo: «Andate nel villaggio di fronte; entrando, troverete un puledro legato, sul quale non è mai salito nessuno. Slegatelo e conducetelo qui. E se qualcuno vi domanda: “Perché lo slegate?”, risponderete così: “Il Signore ne ha bisogno”». Gli inviati andarono e trovarono come aveva loro detto. Mentre slegavano il puledro, i proprietari dissero loro: «Perché slegate il puledro?». Essi risposero: «Il Signore ne ha bisogno». Lo condussero allora da Gesù; e gettati i loro mantelli sul puledro, vi fecero salire Gesù. Mentre egli avanzava, stendevano i loro mantelli sulla strada. Era ormai vicino alla discesa del monte degli Ulivi, quando tutta la folla dei discepoli, pieni di gioia, cominciò a lodare Dio a gran voce per tutti i prodigi che avevano veduto, dicendo: «Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli!». Alcuni farisei tra la folla gli dissero: «Maestro, rimprovera i tuoi discepoli». Ma egli rispose: «Io vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre». 
(Lc 19, 28-40)


LA NATURA "PARLA" DI DIO 

«Gesù risponde all'osservazione sul comportamento dei suoi discepoli con una frase proverbiale ("grideranno anche le pietre") dal profeta Abacuc (Ab 2,11). La voce di quanti hanno seguito Gesù e proclamano quanto hanno visto non può essere messa impunemente a tacere. Perché se così fosse, sarebbero le pietre o le rovine di Gerusalemme a gridare in nome loro, non potendo venir meno la protesta nei confronti di chi, contro ogni evidenza, si ostina a rifiutare il Messia e la missione che sta per compiere» [1].
Sebbene inserita all'interno del contesto della prossima Passione e morte di Gesù, la frase, ripresa dall'Antico Testamento, rimanda a un argomento di grande attualità: il rapporto tra Creatore, creato e creatura. In tal modo, Cristo esprime una verità che il Magistero e la Dottrina della Chiesa hanno più volte sottolineato, e che l'esperienza dei santi ha spesso trasformato in esperienza vissuta: la natura parla di Dio. Anzi, la natura parla di Dio all'uomo. Di più: Dio parla di Se stesso con il "linguaggio" del creato.

Un libro da sfogliare, leggere, comprendere, arricchire, rispettare

«San Francesco, fedele alla Scrittura, ci propone di riconoscere la natura come uno splendido libro nel quale Dio ci parla e ci trasmette qualcosa della sua bellezza e della sua bontà» [2] e così pure della sua infinità, della sua grandezza e varietà (da non confondersi con "mutabilità", poiché Dio è immutabile).
Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma infatti che «nella creazione del mondo e dell'uomo, Dio ha posto la prima e universale testimonianza del suo amore onnipotente e della sua sapienza, il primo annunzio del suo "disegno di benevolenza", che ha il suo fine nella nuova creazione in Cristo» [3].
All'uomo è data la possibilità di scoprire Dio già attraverso questo "libro" che è il creato. Infatti «la nostra intelligenza, poiché partecipa alla luce dell'Intelletto divino, può comprendere ciò che Dio ci dice attraverso la creazione, certo non senza grande sforzo e in spirito di umiltà e di rispetto davanti al Creatore e alla sua opera» [4].

Un libro "citato" anche da Dio

L'Antico Testamento

Dio stesso usa il libro della natura per parlare all'uomo di Se stesso. Lo fa proprio nel "Libro" per eccellenza: la Sacra Scrittura. Già nell'Antico Testamento, a partire dalla Genesi, nel momento in cui, per esprimere il proprio amore Egli crea l'universo e il mondo, affidandolo all'uomo; dove l'uomo viene posto in uno splendido giardino, in cui, poi, si consumerà il peccato originale attraverso l'astuzia del serpente e il frutto di un albero. È anche nel prosieguo della storia d'alleanza che intreccia con l'essere umano, che L'Altissimo si rivela come un Dio che parla e si svela attraverso il linguaggio della natura. Così, ad Abramo Egli promette una discendenza «numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare »(Gn 22,17); le piaghe d'Egitto con cui viene colpito il popolo egiziano si realizzano per la maggior parte attraverso bestiame ed elementi della natura; il popolo dell'Alleanza viene nutrito con la manna che cade dal cielo (Es 16); è poi largamente impiegato il simbolismo del grano, assieme a quelli dell'uva e del fico, attraversando le Scritture dall'Antico al Nuovo Testamento. Inoltre, i sacrifici cultuali si compiono sugli animali, prefigurazione del sacrificio di Cristo, L'agnello senza macchia. 

Il Nuovo Testamento

Proprio Gesù - che è insieme vittima, sacerdote e altare -  si definisce come servo nella vigna del Padre (Mc 12. 6), ma anche la vera vite di cui il «Padre è l'agricoltore» (Gv 15,1). Egli è, inoltre, afferma di essere il Pane vero disceso dal cielo ( Gv 6,51). 
Il Maestro userà, nelle sue parabole, molteplici riferimenti al creato, per insegnare, annunciando il Regno di Dio e invitando alla conversione. Così, fino alla fine la Bibbia parla attraverso un linguaggio che non disdegna di svelare gli alti misteri e progetti di Dio attraverso gli elementi della natura. L'Apocalisse - ultimo libro delle Sacre Scritture - contiene, per citarne solo alcuni, riferimenti all'arcobaleno (Ap 4,3), al mare (Ap 54, 6) e a numerosi animali; interessante è anche la visione del «segno grandioso» che «apparve nel cielo: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e, sul capo, una corona di dodici stelle» (Ap 12, 1); infine, la visione della Gerusalemme celeste è caratterizzata dall'immagine del «fiume d'acqua viva, limpido come cristallo, che scaturiva dal trono di Dio e dall'Agnello» (Ap 22, 1), e da quella dell'«albero di vita che dà frutti dodici volte all'anno, portando frutto ogni mese» (Ap 22, 2) e le cui «foglie servono a guarire le nazioni» (Ap 22,2). 

Il cerchio si chiude

Così viene idealmente "chiuso il cerchio", perché come la Scrittura presenta all'inizio un albero, un frutto e delle foglie - elementi descritti nel Giardino dell'Eden - così ora essi ritornano e acquistano un valore nuovo, eterno, indefettibile. 
Allo stesso modo, torna l'immagine degli astri. Essi compaiono nella Genesi - allorché il Creatore li pone come elementi di separazione tra il giorno e notte (Gn 1, 14-18) - e tornano nell'Apocalisse, quando Cristo si definisce «la stella radiosa del mattino» (Ap 22, 16).


UN LIBRO DI CUI FARE BUON USO

«La natura» - scriveva Benedetto XVI nella Caritas in veritate - «è a nostra disposizione non come "un mucchio di rifiuti sparsi a caso", bensì come un dono del Creatore che ne ha disegnato gli ordinamenti intrinseci, affinché l'uomo ne tragga gli orientamenti doverosi per “custodirla e coltivarla” (Gn 2,15)» [5].
L'uomo si trova allora dinanzi a questo libro come se esso contenesse ancora delle pagine bianche, in cui poter scrivere gli "sviluppi" intrinseci al creato stesso, già previsti da Dio nell'ordinario e armonico svolgimento delle leggi naturali che regolano la creazione, ma il cui pieno fluire dipende dall'intervento umano. Un intervento che renderà più ricco questo libro solo nella misura in cui saprà rispettarlo nelle sue regole, nei margini di ciascuna riga, nelle pagine di ogni capitolo. 
Il rischio di un dono così grande posto nelle mani di chi - come l'uomo - gode di libero arbitrio, è che della natura si faccia cattivo uso, abusandone, stravolgendone le leggi, deturpandola. Allora il libro sarà strappato, bruciato, consumato. Il creato ha in sé una bellezza e una potenza che gli derivano dal fatto di uscire dalle mani del Creatore. Così pure l'uomo. Perciò, solo se la creatura vive - consapevolmente o meno - il proprio rapporto con la natura alla luce del giusto rapporto con Dio, quella bellezza e quella potenza potranno svilupparsi a suo vantaggio. In caso contrario, si riveleranno una bellezza "drammatica" e una potenza rivolta "contro" l'uomo stesso.

Un legame inscindibile

La Scrittura fornisce esempi numerosi di quanto la natura rifletta, in un certo senso, il rapporto tra l'uomo e Dio. Innanzitutto, è la Genesi a dare una prima chiave di lettura: fintanto che tra Creatore e creatura vi è una relazione armoniosa, in cui l'uomo rispetta le prescrizioni divine, la terra non è causa di fatica e affanni. Lo diventa solo dopo il peccato originale, che rompendo l'amicizia con Dio altera anche quello che era, in principio, il rapporto tra uomo e creato (Gn 3, 17-19).
Lo stesso tipo di simbologia è implicata dall'episodio del diluvio universale (Gn 7, 8-24), scatenato dalla  «malvagità degli uomini» (Gn 6,5), ma nonostante il quale Dio predispone tutto affinché non venga distrutto il creato, ma si salvino gli esemplari di ogni specie animale (Gn 6, 19-29), grazie all'ausilio di Noè, uomo «giusto e integro» (Gn 6,9).
Procedendo oltre, nel Libro di Giona la tempesta si scatena quando il profeta si imbarca per non attuare la missione affidatagli da Dio (Gio 1,4) e cessa nel momento in cui egli si rende conto di esserne la causa (Gio 1,15).
Finanche la Passione di Cristo parla di Dio all'uomo attraverso il linguaggio del creato: «A mezzogiorno si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio. Gesù gridò a gran voce ed emise lo spirito. Ed ecco, il velo del tempio si squarciò in due, la terrà tremò, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono»  (Mt 27, 45; 50-52). Questi eventi "cataclismatici" comunicheranno qualcosa di straordinario al «centurione» e a «quelli che con lui facevano la guardia a Gesù» (Mt 27, 54):  la loro conversione avviene perché essi riescono a leggere il libro della creazione, scorgendo in esso un messaggio che proviene da Dio.

Ecologia umana e ambientale

La Storia Sacra sottolinea che non vi può essere un'ecologia ambientale disgiunta da un'ecologia umana (termini cari a Benedetto XVI). Quando nel libro di Giona si scatena la tempesta, questo accade perché il profeta sta mettendo a rischio la salvezza degli abitanti di Ninive, cui egli era stato inviato dal Signore per invitarli alla conversione, pena la distruzione della città e di tutti i suoi abitanti; quando si scatena il diluvio universale, Dio parla di malvagità umana, dunque, di qualcosa che intacca i rapporti tra gli uomini; quando si fa buio sulla terra e si scatena il terremoto alla morte di Cristo, la Scrittura descrive una "reazione" delle forze della natura alla più grande forma di "inquinamento" umano: la condanna a morte di un uomo... e non di un essere umano qualunque, ma di un uomo che è anche Dio.
Ecco che allora ecologia umana e ambientale includono - necessariamente - una sorta di "ecologia tra l'uomo e Dio". Se l'uomo non rispetta il proprio rapporto con Dio, non sarà neppure in grado di rispettare quello con i suoi simili e ne seguirà una cattiva relazione anche con il creato, piegato a fini solamente economici, a strategie di mercato, a tornaconti personali - anche oltre i limiti del legalmente lecito -.
«Per salvaguardare la natura» - sono parole di Benedetto XVI - «non è sufficiente intervenire con incentivi o disincentivi economici e nemmeno basta un'istruzione adeguata. Sono, questi, strumenti importanti, ma il problema decisivo è la complessiva tenuta morale della società. Se non si rispetta il diritto alla vita e alla morte naturale, se si rende artificiale il concepimento, la gestazione e la nascita dell'uomo, se si sacrificano embrioni umani alla ricerca, la coscienza comune finisce per perdere il concetto di ecologia umana e, con esso, quello di ecologia ambientale. È una contraddizione chiedere alle nuove generazioni il rispetto dell'ambiente naturale, quando l'educazione e le leggi non le aiutano a rispettare se stesse. Il libro della natura è uno e indivisibile, sul versante dell'ambiente come sul versante della vita, della sessualità, del matrimonio, della famiglia, delle relazioni sociali, in una parola dello sviluppo umano integrale. I doveri che abbiamo verso l'ambiente si collegano con i doveri che abbiamo verso la persona considerata in se stessa e in relazione con gli altri. Non si possono esigere gli uni e conculcare gli altri. Questa è una grave antinomia della mentalità e della prassi odierna, che avvilisce la persona, sconvolge l'ambiente e danneggia la società» [6].
La Passione di Cristo, il dramma dell'uomo che non riconosce Dio e dell'uomo Gesù che viene crocifisso dai suoi stessi simili, apre così uno scenario su un altro dramma, purtroppo sempre attuale, quello del creato, dono divino al servizio dell'essere umano, che la stessa creatura ritorce contro se stessa. Ma - allo stesso tempo - le parole di Cristo al suo ingresso trionfale in Gerusalemme e la conversione del centurione dopo la sua morte, sono un invito alla speranza. Se l'uomo si rende disponibile a cogliere l'annuncio della bellezza e dell'amore di Dio espressi nel creato, potrà rendersi capace di realizzare un rapporto armonioso con tutta la creazione, con i suoi simili, con se stesso e, soprattutto, con il Creatore.


NOTE 

[1] Nota a Lc 19,40 ne Il Nuovo Testamento. Vangeli e Atti degli Apostoli. Nuova Versione Ufficiale della CEI, 2008, Paoline, p. 304.

[2] Francesco, Laudato sì, n. 12.

[3] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 315.

[4] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 299.

[5] Benedetto XVI, Caritas in veritate, n. 48.

[6] Ibidem, n. 51.




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