giovedì 31 marzo 2016

Pensieri per lo spirito


«PACE A VOI» (Lc 24,36)
Riposare in Dio




L'apparizione di Gesù nel Cenacolo, James Tissot


«Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: "Pace a voi!"».
(Lc 24,36)


DALLA PAURA ALLA PACE

Dopo la morte di Gesù i discepoli vivono "ancora" in un clima di paura. Per paura erano scappati quando il Maestro era stato catturato e poi crocifisso, e sempre per paura, dopo la sua morte, erano rimasti a porte chiuse nel Cenacolo, «per timore dei Giudei», come rendiconta Gv 20,19.
Eppure Cristo, già nel nel suo discorso di commiato, aveva detto: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore» (Gv 14,27). Gli apostoli non avevano ancora compreso cosa fosse la "pace" secondo Gesù. Ancorati a un'idea umana, "troppo" umana di essa, non erano riusciti a rimanere accanto a Cristo nelle ore della sua Passione e poi, sconvolti dalla sua morte e impauriti dalle possibili reazioni della gente, si erano chiusi nel Cenacolo.
Con le sue apparizioni, Gesù viene a confermare il dono della pace che aveva già promesso durante la sua Ultima Cena: si presenta ai suoi nel segno della verità e della "presenza" che scioglie le catene di terrore, angoscia e panico che  imprigionano le creature.
Così, quasi come un ritornello che infonde tranquillità, Egli - il Risorto, il Vivente - ripete spesso ai suoi «Pace a voi».  

Nuovi occhi per vedere...

Secondo don Divo Barsotti «in questo racconto il Risorto "non entra" nel luogo in cui si trovano riuniti i discepoli. Quando appare, in realtà, è già in mezzo a loro.
Gesù era lì già da prima, anche se essi "non lo vedono". Egli è presente fin dall'inizio, ma rimane "abitualmente invisibile". L'autore sacro vuole comunicare che l'evento non riguarda tanto il manifestarsi del Risorto, quanto il fatto che sono mutati gli occhi dei discepoli. Rispetto alla loro esperienza terrena con il Maestro, avviene una rottura. La sua fine ignominiosa e dolorosa provoca, infatti, paura e nascondimento. Dopo l'arresto di Gesù i discepoli erano tutti come scomparsi dalla scena. Di conseguenza, il rendersi conto della presenza di Gesù vivo in mezzo a loro, dopo la morte, non fa altro che provocare smarrimento e stupore: colui che avevano abbandonato non li aveva mai abbandonati, ma era stato sempre presente fra loro. Il Risorto, da parte sua, vuole mostrare ai discepoli il mistero che è accaduto chiedendo, addirittura, "di essere toccato" per dissipare ogni dubbio (cf. Lc 24,39). Egli chiede ai discepoli di porre in atto un gesto capace di permetter loro dì incontrarlo realmente come Risorto. Ne consegue che, secondo Barsotti, in questo racconto la vera esperienza del Cristo risorto non è un suo ritorno visibile verso i discepoli, ma piuttosto l'atto di "entrare", da parte discepoli, nel "mondo della risurrezione". In Gesù tutta la storia sacra si è compiuta. Egli ormai è la "Presenza"» [1]. Ora i discepoli cominciano a "vedere" realmente il Cristo.

Cos'è la pace?

«Parlando del compimento della creazione nel riposo di Dio, il racconto della creazione vuole dire che la creazione, con tutta la meraviglia del suo ordine, della sua bellezza, del suo splendore, è fatta per trovare il suo compimento definitivo nel riposo di Dio. Il prôton della creazione è orientato a un éschaton, alla realtà definitiva, in cui tutto trova compimento» [2]. 
Così è anche per l'essere umano. L'uomo attende, è teso verso il suo «futuro assoluto», verso il compimento definitivo di ciò che è chiamato a essere. 
«La Bibbia per definire questo compimento di tutta la realtà, utilizza in molti passi la parola šālôm, che è una sua parola chiave fondamentale. Šālôm significa "pace" in un senso omnicomprensivo: pace nell'essere umano e fra gli esseri umani, pace nel popolo e fra i popoli, pace nella natura e nel cosmo. Questa pace è concepita come riposo nell'ordine di tutta la realtà e come felicità piena. La Bibbia può affermare addirittura: "Il Signore è pace" (Gdc 6,24).

Una pace "reale"

«La pace escatologica non è, per la Bibbia, un mero desiderio o, ancor meno, una promessa consolatoria; non è una realtà utopica, che non potrà mai essere raggiunta.
Al contrario, la pace fa già capolino nel mondo e vuole fin d'ora farsi spazio al suo interno» [3].
Così come il sabato era, per l'Antica Alleanza, «una partecipazione al riposo di Dio e al compimento del mondo» e, dunque, «il giorno settimo un'anticipazione della pace escatologica» che «in mezzo alla frenesia, alla fretta e all'agitazione del mondo rende presente il riposo di Dio» [4], così per il cristiano, questo stesso valore e significato è acquistato dalla domenica, "Pasqua della settimana".
«Gesù, dopo essere passato attraverso la morte sulla croce, con la risurrezione è entrato nel riposo di Dio. Con questo è iniziato il compimento, che era stato promesso, dell'antica creazione nella nuova creazione. Con la Pasqua è stato posto un nuovo inizio e un nuovo calcolo del tempo.
Con la Pasqua l'essere umano e la creazione intera, che ancora geme e soffre le doglie del parto, hanno la speranza di essere liberati definitivamente per giungere alla libertà dei figli di Dio, e di entrare, secondo la promessa nel riposo del sabato eterno» [5].
Gesù, il Dio-con- noi, è colui nel quale il credente può già assaporare il riposo di Dio. L'Eucaristia - l'intima comunione col Cristo morto e risorto per amore - è già un'anticipazione della vita piena, del "riposo" definitivo in Dio, della "pace" a cui l'uomo aspira tanto ardentemente.

Il "passaggio" dalla paura alla pace

Cristo Risorto è la «nostra Pasqua», ossia il "passaggio": passaggio dalla morte alla vita, dalle tenebre alla luce, dal peccato alla grazia... dalla paura alla pace.
Se Cristo è la Presenza per eccellenza, l'uomo non può più temere. In Lui può riposare. In Lui può trovare l'anticipazione di quel compimento finale a cui ogni essere umano anela.
«Alla base della risurrezione dei morti troviamo sempre e comunque la risurrezione di Gesù. Essa, e solo essa, è la causa e il prototipo assoluto della risurrezione degli uomini. E quest'ultima non fa che prolungare e coronare la risurrezione di Gesù, secondo il sovrano disegno della ricapitolazione della creazione in Cristo che permette a Dio di essere tutto in tutti» [6].
È questo - l'aspettativa certa di un Dio che è presente per sempre in tutti - che rende possibile il dono della pace che Gesù dà a suoi. È questo che rende possibile sperimentare - come risulta dalla testimonianza viva di molti santi e di tanti martiri, ma anche di buoni cristiani - la pace "vera" anche in mezzo alle sofferenze della vita. Si tratta di quella pace di cui gli apostoli faranno esperienza proprio a partire dall'evento "toccato con mano" della risurrezione di Cristo. 

In comunione con Dio per trovare "pace"

«Nel momento in cui cessarono le apparizioni, il rapporto di comunione stretta tra il Risorto e i suoi amici non venne meno, anzi, "i discepoli non sono più orfani, non conoscono più la solitudine, ma vivono una comunione perfetta col Cristo.
Con la risurrezione e il dono dello Spirito è comunicata, secondo le parole del quarto Vangelo, la vita eterna".  Nel Nuovo Testamento, icona indiscussa di questa mistica di comunione con Gesù - tra gli apostoli - è san Giovanni. L'amore, nella sua mistica di unione con il Cristo, crea comunità, intimità e unione fraterna. Ciò che contraddistingue la nuova vita del discepolo non è la parola, tantomeno l'agire. "l'unica parola è quella di un'anima contemplativa che vede e subito riconosce: 'È il Signore'. La comunione di Giovanni col Cristo è una comunione che non ha bisogno di parole". Giovanni sembra incarnare l'ampiezza e la grandezza della nuova relazione di vita con il Risorto, capace di rinnovare l'intera esistenza della creatura.
La stretta relazione di vita con il Risorto non solo va compresa come modello della comunione profonda cui ogni cristiano è chiamato, ma diviene il fondamento necessario affinché la missione evangelizzatrice possa comunicare la continua presenza di Gesù tra gli uomini, per mezzo della loro stessa azione». [7]
La vera pace nasce dal sentire che Cristo accompagna realmente l'uomo, che gli prospetta il suo compimento, la sua realizzazione. La presenza del Risorto è la presenza dello specchio di ciò che l'uomo è chiamato a essere. Questa presenza diventa una speranza salda, che rianima gli spiriti affranti e impauriti, che proietta una luce di vita oltre la morte.
Cristo è veramente presente accanto all'uomo, «fino alla fine del mondo» (Mt 28, 20). Come Pane eucaristico, come Vivente in carne, ossa, anima e divinità.
Gesù Risorto - Colui che in quanto Figlio è sempre nel Padre e che entrando in comunione con l'uomo fa riposare l'uomo stesso in Dio - è già «in mezzo» agli uomini e anche a loro, come ai dodici, chiede di avere occhi nuovi per vederlo, cuore aperto per sentirlo, mani pronte per portarlo nel mondo, per donare agli altri la sua stessa pace.


NOTE

[1] Nicola Demalas, Le apparizioni di Gesù risorto in dialogo con G. Ghiberti, H. Kessler e D. Barsotti, Città Nuova, 2011 pp. 244,245 

[2] Walter Kasper, La liturgia della Chiesa, Queriniana, 2015, p. 11.

[3] Ibidem.

[4] Ibidem.

[5] Ibidem.

[6] Giorgio Gozzelino, Nell'attesa della beata speranza. Saggio di escatologia cristiana, Elledici, 1993, p. 335.

[7] Nicola Demalas, Ult. cit., pp. 328-329.

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