domenica 26 luglio 2015

«IL MIO MEZZOGIORNO ERA GIUNTO»

Lasciarsi saziare da Dio
- Fede e poesia: E. Dickinson -




Avevo avuto fame, tutti quegli Anni -
Il mio Mezzogiorno era Giunto - per pranzare -
Mi accostai tremante alla Tavola -
E sfiorai lo Strano Vino -
Era quello che avevo visto sulle Tavole -
Quando tornando, affamata, a Casa
Guardavo attraverso le Finestre, la Ricchezza
Che non speravo - per Me -
Non conoscevo quel copioso Pane -
Così diverso dalla Briciola
Che gli Uccelli ed io, avevamo spesso condiviso
Nella Sala da Pranzo - della Natura -
L'Abbondanza mi ferì - era così nuova -
Mi sentivo male - e strana -
Come una Bacca - di un Arbusto Montano -
Trapiantata - su una Strada -
Non avevo più fame - così scoprii
Che la Fame - è la condizione
Di persone Fuori dalle Finestre -
L'entrare - la rimuove - 

(Emily Dickinson)



La fede di Emily Dickinson è alquanto "peculiare": nella sua vita solitaria, che conduce dai trent'anni in poi, accompagnata da un rigetto verso la "ritualità" del cristianesimo, l'aspetto religioso è un leit-motiv spesso presente nei suoi versi.
Questo "sfondo", quasi musicale, alle sue liriche, è molte volte filtrato attraverso la simbologia tipica del pane e del vino, come nella poesia che vi presento oggi, XVII Domenica del T.O., Domenica della moltiplicazione del pane e dei pesci.

AVEVO AVUTO FAME E SETE
I versi iniziali ci rimandano alle Letture bibiliche di quest'oggi, centrate sul tema della "fame" che anima ogni uomo. Una fame simbolica, che dal bisogno di pane materiale, ci conduce a quello del Pane che non perisce, del Pane Eucaristico... di Dio stesso, fattosi Pane per noi. Una sete simbolica, non del vino che si guasta, ma del Vino buono, di Dio stesso, fattosi Vino per noi.
Nella Liturgia, è il Salmo a fare il punto della situazione, ponendosi come cerniera tra l'Antico e il Nuovo Testamento che la Liturgia della Parola ci presenta: "Apri la tua mano Signore, e sazia ogni vivente". Dio è l'unico che possa veramente saziare il bisogno della creatura.

SAZIARE
"Saziare" è molto più che "sfamare". Saziare non è solo e soltanto il dare qualcosa da mangiare. E' "colmare" tutta la fame, è abolire la presenza di ulteriori desideri. Quando siamo sazi non avvertiamo più il bisogno di altri cibi.
Colui che ci sazia vuole dirci che solo Lui può colmare le nostre vite.

"IL MIO MEZZOGIORNO ERA GIUNTO PER PRANZARE"
Il nostro "mezzogiorno", simbolicamente parlando, è Cristo, il sole che splende nell'alto del cielo, nel punto più alto e luminoso, facendoci luce e donandoci calore.
E' il nostro mezzogiorno anche perché Egli si è fatto Pane e Vino per noi, cibo e bevanda che donano la vita.
Il mezzogiorno è dunque un termine ambivalente: rimanda all'atto del nutrirsi, ma anche a quello del lasciarsi illuminare. Rimanda all'idea dell'Eucaristia che ci nutre, ma anche a quella della Parola che deve illuminarci, per orientarci nel nostro cammino, come fa il sole durante la giornata, ma specialmente a mezzogiorno; rimanda, ancora, all'idea dell'amore, perché il sole che ci avvolge è come un abbraccio amoroso della natura nei nostri confronti, attraverso cui la vita può svilupparsi sulla terra.

"NON SPERAVO, NON CONOSCEVO QUEL COPIOSO PANE, DIVERSO DALLA BRICIOLA"
Il Vangelo di oggi ci presenta la briciola e il pane copioso. Ci mostra come il "minimo" che noi uomini possiamo condividere (i cinque pani e i due pesci del ragazzo) possano diventare, tra le mani di Dio, un "molto"; un "per molti" ("erano circa cinquemila persone, senza contare le donne e i bambini").
L'Eucaristia è Gesù che si fa Pane nel nostro pane, nel prodotto delle nostre mani; che si fa Vino nel nostro vino, nel risultato del nostro lavoro.
Questo è il significato dei cinque pani e dei due pesci: dare il nostro "poco" a Gesù, perché Egli lo inglobi nel suo Tutto, e attraverso questo Tutto possa sfamare molte persone.

"L'ABBONDANZA DELLA NATURA"
C'è un'abbondanza della natura anche in noi: Gesù desidera che gli conduciamo noi stessi, per diventare anche noi, nella somiglianza a Lui, pane per gli altri.
Qui c'è il secondo significato dei cinque pani e dei due pesci: non solo il frutto del nostro lavoro, ma tutto ciò che siamo, che possediamo. Altrove, nella parabola dei talenti, Gesù ci rammenterà infatti che nessuno è privo di "ricchezze", ma che a tutti Dio ha donato delle qualità, delle bellezze, dei pregi. Elementi da non sotterrare, ma da mettere a frutto.
Il ragazzo del Vangelo mette a disposizione quanto ha. In realtà, non sta condividendo solo la materialità di quel poco cibo, ma sta donando molto di più: sta regalando la sua generosità, sta donando la propria disponibilità. Sta accettando di "mettersi in gioco".

"NON AVEVO PIU' FAME"
I versi che preparano la fine della poesia sembrano essere - a prima vista - contraddittori. Si entra nella sala da pranzo, ci si sente male, strani e poi non si ha più fame.
Quante volte Gesù paragona il Regno di Dio ad un banchetto, ad un invito a nozze!
Se si entra in una sala dalle mille ricchezze, il nostro cuore non può che farci riconoscere la nostra miseria, davanti a tanta magnificenza divina. Lo smarrimento del cuore è in realtà anche stupore, come quello che provarono i cinquemila uomini (e le donne e i bambini) davanti al miracolo straordinario della moltiplicazione dei pani e dei pesci.
Entrare nella sala del banchetto è già sapere che saremo saziati alla mensa imbandita.
La "fame del cuore" si placa. Siamo arrivati al porto sospirato.

LA SCOPERTA PIU' IMPORTANTE
Le battute finali della lirica ci immettono nel mistero del Regno: scoprire che la fame è la condizione di quelli che restano fuori dalla sala del banchetto.
Possiamo guardare questi versi da un punto di vista attuale, ma anche escatologico.
A livello attuale siamo certi che prendere parte al banchetto Eucaristico sazia la nostra fame e la nostra sete, così come siamo sicuri che, nella prospettiva escatologica, solo il Paradiso, il Banchetto Eterno, sarà il compimento di ogni fame, l'essere per sempre continuamente saziati dalla contemplazione di Dio. E quelli che rimarranno a guardare "fuori dalla finestra" saranno gli eterni scontenti, gli eterni infelici. Come quanti, oggi, cercando di trovare pane per i loro denti e vino per le loro gole fuori da Dio, gettandosi nelle finte delizie del mondo. Quelle che oggi ci sono e domani si seccano; quelle che non spengono mai la sete, perché non sono sorgente di vita eterna.

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