domenica 5 luglio 2015

HA PARLATO PER MEZZO DEI PROFETI


Un articolo di Juan E. Vecchi





"In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono. Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità. Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando".

(Mc 6, 1-6)





Il Vangelo di oggi - così come pure la Prima Lettura (Ez 2,2-5) - ci consente di gettare lo sguardo sulla figura del profeta e, in modo particolare, su quella di Gesù, che don Vecchi (Rettor Maggiore della Congregazione Salesiana dal 1995 al 2002) definì "il profeta massimo, il compimento delle profezie".  A conclusione di questa giornata proviamo a meditare anche alla luce degli spunti che questo articolo, pubblicato nel 1998 sulla rivista "Note di Pastorale Giovanile" e disponibile on line, ci offre. 





HA PARLATO PER MEZZO DEI PROFETI 
Juan E. Vecchi


È una delle poche cose che diciamo dello Spirito Santo nel Credo. 
Dev’essere dunque molto importante per identificare la sua persona e per individuare la sua opera. Infatti vuol dire che egli ha ispirato tutta quella visione religiosa della vita che si contiene nella Sacra Scrittura: i fatti che ci stanno alla base, la dottrina e gli orientamenti pratici, il senso della realtà, la lettura degli avvenimenti e le attese di futuro. Ha illuminato internamente coloro che dovevano agire, parlare o scrivere, muovendoli anche ad esprimersi. Ha collegato meditazioni, intuizioni e messaggi di epoche diverse e lontane l’una dall’altra attorno a un fatto: l’alleanza di Dio con l’uomo e la salvezza di quest’uomo da parte da Dio. L’opera che ha ispirato ha una unità, racconta e documenta una storia, anche se per chi non ne è al corrente sembra una «collezione»` di pezzi eterogenei. I profeti hanno tra di loro un profilo biografico comune e una fisionomia simile. Sono suscitati, chiamati e a volte «presi» da Dio, del quale si innamorano e divengono ardenti difensori. Nella contemplazione di Dio acquisiscono anche una visione dell’uomo che dell’amore di Dio è l’oggetto. Perciò diventano anche strenui difensori dell’uomo contro tutti gli sfruttatori. Il racconto delle loro vocazioni è quanto di più interessante si può leggere nella Bibbia. Sono internamente mossi, quasi spinti da Dio, a parlare: ricevono il dono di una rivelazione e il compito di comunicarla al popolo o a coloro che governano. Ciò spesso provoca nel profeta ansietà e persino rigetto: tale è la difficoltà di parlare adeguatamente di Dio e tali sono i pericoli a cui si espone chi, in un ambiente corrotto o avverso, ricorda le conseguenze dell’amore di Dio per noi. Il messaggio completo è la vita del profeta: egli sovente accompagna l’annuncio con azioni simboliche che colpiscono e portano ad interrogarsi. In generale poi i profeti finiscono in carcere, vengono espulsi o addirittura ammazzati. Non sono indovini del futuro. Lo preannunciano leggendo gli avvenimenti alla luce della vocazione dell’uomo e del suo destino definitivo. Per questo possono fustigare le deviazioni, aprire gli occhi su quello che avverrà e allo stesso tempo proporre una grande speranza. 
Il profeta è l’uomo della verità, della fedeltà a Dio, della rettitudine nell’agire, della giustizia pubblica e privata, dell’amore e della misericordia. È testimonianza che sfida, coscienza critica, voce che non si lascia intimidire e tanto meno zittire. 
Tutto ciò sembra storia passata. Dipinti, statue e film che rappresentano i profeti con indumenti antichi, statura imponente, barba solenne, occhi penetranti e gesto energico possono far dimenticare che lo Spirito continua oggi a parlare per mezzo di profeti. Tali sono coloro che annunciano la buona notizia ai poveri o che denunciano autorevolmente corruzione, egoismi, sistemi di oppressione, deviazioni morali: alcuni con grande energia di gesti e parole, altri con iniziative o addirittura con una vita «alternativa» rispetto ai modelli correnti, altri con il consiglio e la compagnia. 
Gesù è il compimento delle profezie; Lui stesso è il massimo dei profeti. 
Tutti noi, nel battesimo, abbiamo ricevuto da Lui tre doni e relativi compiti: quello del sacerdozio, per cui offriamo a Dio la nostra vita insieme alla sua; quello regale, per cui non ci sottomettiamo alle cose, ma cerchiamo di trasformarle e orientarle secondo Dio; e quello profetico, per il quale sveliamo il senso degli avvenimenti e della realtà, proclamiamo la buona notizia del Vangelo e la vicinanza di Dio, denunciamo quello che non corrisponde alla vocazione dell’uomo e annunciamo il tempo in cui la salvezza dell’umanità apparirà compiuta. Per mezzo di noi lo Spirito continua a parlare se siamo capaci di cogliere le sue ispirazioni interiori e le esprimiamo con schiettezza nella parola e nella vita. Ai giovani si addice la profezia, proprio come si addice la verità, il senso e il futuro. Il segno dei tempi messianici è che «gli anziani avranno visioni e i giovani profeteranno». Per questo corrono dietro i profeti e sono disposti ad ascoltarli. Ne hanno bisogno come la società e la Chiesa hanno bisogno della profezia dei giovani: vissuto cristiano, iniziative, parole. È interessante dunque parlarne, aiutare ad ascoltare la profezia che proviene dalle comunità cristiane o da uomini e donne che hanno una biografia singolare, infondere il gusto della profezia. In un mondo segnato dalla comunicazione elemento importante del vivere cristiano è riuscire a far risuonare un messaggio evangelico con la propria presenza o col proprio agire. È importante quello che si raggiunge materialmente con le iniziative di bene; ma piú ancora quello che si suscita o sveglia, quello a cui si accenna per sollevare interrogativi, quello che si fa balenare, quello che si addita, le sfide che si lanciano con comportamenti alternativi alle logiche «normali» dell’esistenza. La dimensione profetica non va confusa tout court con la contestazione, in particolare all’interno della comunità cristiana, con la teatralità dei gesti oggi amplificati volentieri dai mezzi di comunicazione sociale, con la spettacolarità. È vero comunque che comporta rottura nei confronti dello scontato, superamento di visioni immediate verso l’oltre, conferma di quello che è piccolo e nascosto ma vero, come fece Gesù con gli atteggiamenti degli umili, manifestazione radicale di quello che è quotidiano e nascosto ma fecondo, come fanno i santi che assumono la povertà. 
Non è un mestiere facile essere profeti; perciò quelli che lo tentano con leggerezza e vanità finiscono per scoraggiarsi o ripiegare. «La testimonianza profetica richiede la costante e appassionata ricerca della volontà di Dio, la generosa e imprescindibile comunione ecclesiale, l’esercizio del discernimento spirituale, l’amore per la verità. Essa si esprime anche con la denuncia di quanto è contrario al volere divino e con l’esplorazione di vie nuove per attuare il vangelo nella storia, in vista del Regno di Dio» (VC 84). Ma è tutt’altro che triste o monotono. Porta la gioia delle beatitudini. Esse sono infatti il nocciolo della profezia di tutti i tempi.

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