mercoledì 26 febbraio 2014

AMMALATI DI "PAPALISMO"? - i rischi della papolatria e del censurazionalismo -


In queste ultime settimane ho raccolto negli scaffali mentali - settore Papologia - una serie di  serie di "svariati svarioni" (passatemi il gioco di parole) dei non proprio soliti ignoti nel settore giornalistico, su quei due nomi che, da 12 mesi, riempono pagine e pagine di quotidiani e non solo: Benedetto e Francesco.



Mi sono presa un anno (mancano due soli giorni allo scoccare dei 365 giorni!) per riflettere, osservare, comprendere l'andamento della stampa ed in generale del cattolico medio.
Ammetto di avere ancora - almeno sull'ultimo punto - qualche difficoltà, ma leggendo oggi la chiara e netta risposta del Pontefice Emerito al giornalista Andrea Tornielli - pubblicata su La Stampa - fra le curve cerebrali mi è rimbalzato un termine, quasi come un identificativo di genere della situazione attuale: "PAPALISMO".
Un malanno che "spacca" in due i fedeli, facendone ora degli ammalati di "Franceschite" e ora di "Benedettite": non in quel senso buono che porta ad amare Francesco e Benedetto e rispetterli entrambi nella PRESENTE DIVERSITA' DEI RUOLI, con l'obbedienza dovuta all'attuale pontefice regnante, ma quella che ingenera fazionismi anche gravi, quasi a rasentare le derivazioni sedevantiste in alcuni casi.

Dicevo, dunque, di aver pensato alla parola "Papalismo", e il termine si è coniato nella mia mente come derivazione traslata di "populismo".
Il populismo è un movimento sorto nella Russia nella seconda metà del 1800, come "rappresentazione idealizzata del ‘popolo’ e un’esaltazione di quest’ultimo, come portatore di istanze e valori positivi, in contrasto con i difetti e la corruzione delle élite". (Treccani)

Il Papalismo - malattia in realtà ben più vecchia rispetto al pontificato di Francesco e a quello di Benedetto prima - è una sorta di "deformazione professionale" che in linea di massima colpisce tutti (anche quelli che rimangono fuori dalla Chiesa), ma che assume toni altamente pericolosi quando attecchisce in ambiente cattolico.
Colpisce i fedeli (di ogni ceto, professione e stato) portandoli ad identificare in uno o nell'altro Pontefice la rottura con tutti gli altri pontificati e l'apporto di valori unici, essenziali, da difendere con assoluta devozione contro tutti (altri Papi inclusi!)
Insomma: ad un cambio di pastorale o di gusto liturgico, ciascuno sceglie di difendere il Papa che meglio si confà alle proprie "ideologie".
E' il male che affligge noi del XXI secolo con echi mediatici impressionanti, ma che rileggendo la storia dei pontificati si ritrova un po' anche "ai vecchi tempi", da Pio IX a Paolo VI, da Giovanni Paolo II ai giorni nostri.

E' proprio nell'approccio "personalistico" alla figura del Papa che si annida il "verme solitario", il germe della devianza da quella che potrebbe essere una normale - e salutare - ammirazione, riverenza, obbedienza verso i Pontefici: LA CONTRAPPOSIZIONE.

Partiamo dal preuspposto che il Papa, colui che è custode e "confermatore" della/nella fede può agire con modalità pastorali differenti, laddove il concetto di pastorale lo intendo in senso molto ampio, inclusivo dell'approccio personale, dello stile celebrativo, dello stampo catechetico, etc etc.

Il cattolico medio, da molti decenni a questa parte  - e dietro  lui anche molti giornalisti - ha reagito con scarsa maturità a queste "alternanze" di pastorali differenti, che pur fanno parte della ricchezza della Chiesa.
Ne sono così "integranti" che tornando al punto di partenza, a Gesù succede Pietro, al sapere massimo, l'ignoranza di un pescatore...e nel susseguirsi del tempo si arriva a Clemente, quarto Vicario di Cristo, esperto conoscitore delle Scritture e dei testi ebraici non canonici.
Insomma, la storia bimillenaria della Chiesa insegna non solo che Dio non fa un santo uguale ad un altro, ma che non fa neanche un Papa identico ad un altro.
Ciascuno con il suo personale apporto, ciascuno con il proprio stile personale, pur sempre fondato sul deposito della Fede che è uno solo, forti di quella certezza che a Pietro vengono affidate le chiavi del Regno dei Cieli per legare e sciogliere e che le potenze infernali non avranno la meglio sulla Chiesa.

Da qui la necessità, per noi cattolici, di assumere un atteggiamento "adulto": il papa non si elegge con un plebiscito popolare, nè per forza di cose deve essere rispondente alle"preferenze" liturgiche, letterarie, filosofiche o teologiche, al sentimentalismo affettivo, o alle opzioni pastorali in senso stretto dei singoli fedeli.

Il beato Pio IX e don Bosco
Il cattolico adulto fa proprio l'atteggiamento di Don Bosco, che consapevole di questi "rischi", della possibile deviazione da una normale inclinazione - di gusto, di affettività - verso un papa o l'altro, diceva ai suoi ragazzi: "Non gridate viva Pio IX, gridate viva il Papa"!
Il motivo era semplice: rendere omaggio al Papa non nella sua umana persona (o non solo in essa), ma in quanto Vicario di Cristo.
Da fine scrutatore e conoscitore degli animi, il santo piemontese aveva colto il pericolo di un'arma a doppio taglio: l'eccessiva "papolatria" come forma di "idolatria" in cui si centri tutto sul versante "antropomorfico", umano, scindendolo dalla "dignità" speciale di cui il Pontefice viene investito;
la denigrazione - che assume i connotati di censurazionalismo o finanche dell'eretica demonizzazione - nel caso in cui pesanti critiche si addensassino attorno alla sua figura, dimenticando il "dovere" di ogni buon cattolico, di essere fedele al Papa.

In sostanza, quello che don Bosco voleva evitare, era la perniciosa concentrazione "solo" sul piano umano, sia nell'una che nell'altra forma di devianza.
Il "pericolo" sotteso a queste prassi educative di don Bosco non era questione di teoria pedagogica: il santo lo osservò con i propri occhi, esattamente durante il regno di Pio IX, accusato pesantemente (ma scagionato a ben donde dalla storia "laica" e beatificato dalla Chiesa!) anche da fazioni cattoliche (e finanche su questioni di capitale importanza religiosa-spirituale, come il Sillabo!)


Tutta la vita di don Bosco è stata dimostrazione coerentissima di questa sua "pedagogia papale" insegnata ai ragazzi: collaborazione instancabile con tutti i Pontefici succedutisi al soglio di Pietro durante la sua vita (in questioni anche molto delicate, come le nomine dei Vescovi) e obbedienza cieca, tanto da poter dire: "Ogni desiderio del Papa, per me, è un ordine".

E' una pedagogia che dovremmo "ripescare", ruminare, applicare. 
Dopo duecento anni da don Bosco, dopo duemila dalla nascita della Chiesa e del Papato.

Solo in quest'ottica di fedeltà al Papa è possibile evitare di scantonare nell'idolatria e nella demonizzazione, devianze che fanno dimenticare che la Chiesa è di Cristo e che dunque essa viene guidata nella successione dei vari Pontefici.
La Chiesa non finisce o non inizia con un papa o con l'altro: la Chiesa cammina, va avanti, nella continuità storica.
Idolatrare o demonizzare implicano sottrarre a Cristo ciò che è di Cristo: la Sua Chiesa, quella Chiesa Una, Santa, Cattolica, Apostolica e Romana, di cui noi siamo membra vive!

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