Qualche tempo fa, Don Luigi Verzè -fondatore del San Raffaele di Milano- ha festeggiato pubblicamente i suoi 90 anni, alla presenza del suo amico Berlusconi e del Cardinal Martini (ricordiamo che insieme a Monsignore, qualche anno fa, scrisse il libro “Siamo tutti sulla stessa barca”).
Il presidente del consiglio (che cito qui in quanto prendo spunto anche dalle sue parole, per portare avanti la mia riflessione, non di certo per motivi politici!) ebbe a confessare di aspirare a vivere fino a 150 anni, e aggiunse anche : "Don Verzè pensa che la vita media arrivi a 120 anni, ma quando ci parliamo io e lui ci diciamo che noi viveremo almeno 30 anni di più”.
E ci sarebbero già dei “progetti” in corso, per sommare “anni alla nostra vita, aggiungendo spirito e qualità”.
Come riassumere: Matusalemme felici e contenti!
Il perfetto stile che va di moda oggi, palestrati, rifatti fino al millimetro sottocutaneo, per dimostrare 40 anni di meno, ingiacchettati e incravattati in bei vestiti. La felicità è tutta nella salute e nella lunga vita!
Pensiero, questo, non solo “condiviso”, ma “co-ideato” da un sacerdote cristiano cattolico.
A voler vivere bene ed in discreta salute, possibilmente a lungo, non ci sarebbe nulla di male..ma tendere ad una vita “qualitativamente perfetta” e così innaturalmente lunga altro non è se non un estremismo, tale e quale al al perfezionismo estetico, per il quale una ruga o un po' di pancetta, sono in grado di generare un rifiuto sociale!
Volere allungare (e di cosi' tanto!) la durata della vita, è un negare la morte.
Corrisponde, in fondo, a quello stesso desiderio che anima i tanto frequenti ed eccessivi ricorsi a bisturi e palestre, diete e saune scriteriate.
Vogliamo bandire dalla nostra società consumistica e “tutto piaceri”, l'idea della cessazione della vita, che ci strapperebbe dai godimenti, dalle soddisfazioni di ogni genere.
Vogliamo evitare di pensarci perché, troppo presi dal materiale, abbiamo dimenticato che dovremmo coltivare quella vita interiore che, togliendo spazio all'esterno superfluo, ci faccia rendere conto che la vita non finisce con la cessazione del respiro...ma va oltre!
Vorremmo non ammettere di essere tanto superficiali, da non attenderci niente di meglio nel “dopo”. Per cui, allunghiamo la vita a dismisura, rimandiamo l'incontro con l'ignoto....rimandiamo l'incontro con Cristo, con il Paradiso, con ciò che il Padre ha preparato per noi.
Ma una vita lunga e in perfetta salute, escluderebbe ogni causa di “infelicità” umana?
No...così come non la escludono i fisici scolpiti e le protesi al seno, le labbra rifatte e le pelli stirate, da cui scompaiono rughe e zampe di gallina.
Perché l'infelicità (o meno gravemente, l'insoddisfazione) non è qualcosa di semplicemente esterno, materialista, ma è un sentimento legato ad una varietà di situazioni non di certo riconducibili al vivere in un corpo da modelli e con una salute di ferro.
Se così fosse, con quanto oggi si spende in bei vestiti, sedute di fitness e aerobica, diete, creme e chirurghi plastici; con quanti attori, modelle e belle signorine abbiamo in giro, la percentuale della gente felice, dovrebbe essere in netto aumento.
Invece, le statistiche danno in crescita altri dati: quelli relativi ai portafogli degli operatori del settore -psi (psicanalisti, psicologi, psichiatri). Se cresce il volume delle loro banconote, vuol dire che -parallelamente- diminuisce quello della felicità dei pazienti. Stesso discorso per le parcelle degli avvocati, ai quali ci si rivolge per cause di divorzio, litigi con il vicinato, divisioni ereditarie (anche fra i multimilionari!) e quanto altro si possa elencare...per non parlare poi di “crimini” ben peggiori.
Ma allora, che senso avrebbe, per un cristiano, cercare una vita “innaturalmente” lunga?
La sofferenza -lo sappiamo bene- è uno strumento di “redenzione” ineliminabile. Se fosse “cancellabile”, verrebbe meno la stessa Croce sulla quale il Figlio di Dio ha scelto di essere innalzato, per salvare l'umanità, per offrirci un modello di rassegnata sopportazione amorevole.
Proprio per questo, il Vangelo -quello vero, non quello secondo Don Verzè- ci fornisce alcune “istruzioni per l'uso”, proprio per scampare a questa incetta di materialismo dilagante, falsamente “ a favore dell'uomo” (e magari anche di quello spirituale!), ma in realtà soltanto teso a distruggere la ricerca interiore di Dio!
San Matteo, ci ha consegnato queste perle di saggezza di Nostro Signore: “per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito? (Mt 6, 25); “E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l'anima; temete piuttosto colui che ha il poter di far perire e l'anima e il corpo nella Genna” (Mt 10, 28).
Quest'ultimo versetto è molto chiaro: la sofferenza, la malattia, non sono di per sé “mali irrimediabili”, ne possiamo fare strumento di crescita interiore, da un punto di vista spirituale, o anche semplicemente “umano” (per chi magari non crede, ma vive con questo spirito il dolore). Non sarebbe piuttosto una vita perfetta (salutisticamente parlando) a farci rischiare di crollare nel burrone dell'autosufficienza e del materialismo?
Su questo punto, abbiamo delle splendide riflessioni del Santo Padre Benedetto XVI, che ci sono state donate nell'omelia della Veglia Pasquale.
Il Papa ci ha introdotti, attraverso una sorta di “prologo”, in quello che è il problema forse più “antico” dell'essere umano (religione a prescindere): affrontare la morte.
Allunghiamo quanto vogliamo la vita, alla fine, alla morte terrena, fisica, non si può scampare. L'elisir di lunga esistenza è solo un “paliativo” per coprirci gli occhi e nasconderci la verità.
“Si rende evidente la resistenza che l’uomo oppone alla morte: da qualche parte – hanno ripetutamente pensato gli uomini – dovrebbe pur esserci l’erba medicinale contro la morte. Prima o poi dovrebbe essere possibile trovare il farmaco non soltanto contro questa o quella malattia, ma contro la vera fatalità – contro la morte. Dovrebbe, insomma, esistere la medicina dell’immortalità. Anche oggi gli uomini sono alla ricerca di tale sostanza curativa. Pure la scienza medica attuale cerca, anche se non proprio di escludere la morte, di eliminare tuttavia il maggior numero possibile delle sue cause, di rimandarla sempre di più; di procurare una vita sempre migliore e più lunga.
Ma riflettiamo ancora un momento: come sarebbe veramente, se si riuscisse, magari non ad escludere totalmente la morte, ma a rimandarla indefinitamente, a raggiungere un’età di parecchie centinaia di anni? Sarebbe questa una cosa buona?
L’umanità invecchierebbe in misura straordinaria, per la gioventù non ci sarebbe più posto. Si spegnerebbe la capacità dell’innovazione e una vita interminabile sarebbe non un paradiso, ma piuttosto una condanna. La vera erba medicinale contro la morte dovrebbe essere diversa. Non dovrebbe portare semplicemente un prolungamento indefinito di questa vita attuale. Dovrebbe trasformare la nostra vita dal di dentro. Dovrebbe creare in noi una vita nuova, veramente capace di eternità: dovrebbe trasformarci in modo tale da non finire con la morte, ma da iniziare solo con essa in pienezza. Ciò che è nuovo ed emozionante del messaggio cristiano, del Vangelo di Gesù Cristo, era ed è tuttora questo, che ci viene detto: sì, quest’erba medicinale contro la morte, questo vero farmaco dell’immortalità esiste. È stato trovato. È accessibile. Nel Battesimo questa medicina ci viene donata. Una vita nuova inizia in noi, una vita nuova che matura nella fede e non viene cancellata dalla morte della vecchia vita, ma che solo allora viene portata pienamente alla luce”.
Credo che queste parole siano il più bel “contro commento” al vangelo secondo Verzè.
Ci ricordano che il Battesimo è la nuova veste che dobbiamo continuamente “reindossare”, in un percorso della ricerca della VERA vita, che “ci rende capaci di eternità, così che nell'abito di luce di Gesù Cristo possiamo apparire al cospetto di Dio e vivere con Lui per sempre”.
Meraviglioso, ironico ed evangelico articolo!!
RispondiEliminaLa durata della vita non significa nulla, se non si ha presente la promessa di Cristo: "vado a prepararvi un posto presso il Padre". Ovvero la speranza della vita eterna. Per noi cristiani è l'unica meta che conti! Ma che questa volontà di vivere a lungo, a tutti i costi, venga da un sacerdote, mi pare poco ortodosso, se non addirittura un tantino eretico. Che senso ha voler allungare la vita: siamo già alla soglia dei 6 miliardi di esseri che popolano la terra e mancano prospettive per il futuro dei giovani. Non voglio dire "morite presto, morite in fretta, largo ai giovani", ma ora si esagera. Ai tempi di Matusalemme, il Pianeta Azzurro era meno popolato, aveva quindi senso una lunga esistenza, dove il rispetto per l'anziano, il saggio, era dovuto. Ma come tu sostieni, tutta questa corsa alla giovinezza sfuggita, alla ricerca dell'eternità qui in terra (cocoon) è un voler negare l'eternità in Paradiso. Questo modo di pensare lo trovo discutibile, per un sacerdote cattolico!!
Vedi, mi duole ammetterlo, ma pensieri simili, molto "materialisti" oggi si trovano anche in chi dovrebbe coltivare principalmente altro genere di progetti. Penso che ribadire (con il dovuto rispetto per il sacerdote, che come tale è e rimane ministro di Dio) quello che ci chiede il Vangelo e l'interpretazione che di esso ne dà il solo che sia chiamato a porgercelo, ossia il magistero della Chiesa, sia per noi essenziale, per non confonderci in mezzo a troppe voci...
RispondiEliminaUn abbraccio