lunedì 21 settembre 2015

Arte e fede / 1



«LA VOCAZIONE DI SAN MATTEO»
Commento estetico-spirituale al quadro di Caravaggio

La Chiesa ricorda, il 21 settembre, la figura di San Matteo, un santo "baciato" dalla misericordia di Dio. Un santo che ha vissuto l'esperienza dell'irrompere della Grazia nella propria vita.
Proviamo a rileggere la sua storia di conversione attraverso un'opera famosissima della pittura italiana: La vocazione di san Matteo, di Caravaggio.


«Mentre andava via, Gesù, vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: "Seguimi". Ed egli si alzò e lo seguì».

(Mt 9, 9)

Caravaggio, La vocazione di San Matteo (1598 - 1601), Roma, San Luigi dei Francesi


Un po' di storia...

Caravaggio dipinge questa tela per la Cappella Contarelli, nella Chiesa di San Luigi dei Francesi, a Roma. Si tratta della sua prima commissione "importante", di cui quest'opera farà poi parte: la realizzazione di un ciclo di quadri, le Storie di San Matteo. Non sarà un'impresa priva di di difficoltà. Il primo dipinto presentato dall'artista, San Matteo e l'angelo, viene rifiutato dai committenti, perché «San Matteo non aveva aspetto di santo, non era abbellito, non aveva decoro, contegno, atteggiamento devozionale, era addirittura volgare, mostrando in primo piano i grossi piedi nudi ed appariva un povero vecchio rozzo e analfabeta, cui l'angelo doveva guidare la mano nella faticosa scrittura del Vangelo. Tutto ciò è vero. Ma proprio qui sta la novità e l'importanza della composizione caravaggesca che rifiuta la tradizionale identificazione di bello con buono, di brutto con cattivo. Anzi la grazia di Dio può toccare chiunque, non soltanto il meritevole; nessuno può pretendere la salvezza in cambio delle opere compiute, come uno scambio di merci. Matteo, il "pubblicano", ossia l'esattore delle tasse, ritenuto infame dagli ebrei, è santificato dalla fede; è la fede che gli permette di scrivere il Vangelo, testimoniando la venuta in terra del Redentore» [1].
Si tratta di un'idea che, seppure scartata nella sua trasposizione pittorica di questa prima tela, troverà poi espressione nel quadro de La vocazione di San Matteo.

La vocazione di San Matteo

La tela del Caravaggio che rappresenta la chiamata di Matteo è visivamente eloquente, andando al di là delle informazioni che l'evangelista stesso, nel proprio Vangelo, offre, circa la sua "vocazione".
La pagina della Scrittura dona infatti solo l'essenziale, senza alcun orpello descrittivo sui luoghi o sulle emozioni interiori: Gesù stava andando via, e vedendo un uomo - di nome Matteo - seduto al banco delle imposte, lo invita a seguirlo. L'uomo, immediatamente, lascia tutto e si pone alla sequela. L'evangelista ricorre a uno stile asciutto, che non offre la possibilità di indugiare su dati quasi ritenuti "secondari". L'interesse di chi scrive è evidenziare, oltre al dato "storico" della chiamata, anche una serie di elementi "simbolici": lo sguardo di Cristo a cui nulla sfugge (il contrasto tra l'allontanarsi e il fermarsi per aver visto); l'importanza della chiamata "personale" (l'identificazione attraverso il nome) e della immediatezza nella risposta ("si alzò e lo seguì"). 
Caravaggio, al contrario, descrive la scena con dovizia di particolari e maestria "scenografica", - tipica del barocco - ma aggiungendo anche il suo tocco personale del "chiaroscuro", e fornendo una chiave di lettura "nascosta" attraverso un richiamo a un altro grande maestro dell'arte: Michelangelo. Tutto questo consente al fruitore dell'opera di "rileggere" la chiamata dell'evangelista attraverso il quadro caravaggesco.

La "luce del mondo"

Colpisce in primo luogo lo sfondo scuro su cui si staglia - illuminata solo parzialmente - la figura di Gesù posta all'estrema destra del quadro: è un contrasto emblematico, che in chiave teologica si può interpretare come la vittoria del Verbo - "luce del mondo" - sulle tenebre del peccato (cfr. Gv 1,5).
"Il mondo" (secondo l'accezione giovannea) non può vincere lo splendore della Grazia: Dio viene a chiamare i peccatori (come Cristo stesso afferma nella pagina evangelica della conversione di Matteo), offrendo la salvezza quale dono "gratuito", che previene finanche ogni richiesta umana.

Interessante è la presenza, accanto a Gesù, di San Pietro.
La chiamata a seguire Cristo è una chiamata "per" la Chiesa e "nella" Chiesa
«Il significato del fatto narrato (la grazia che discende nel buio del peccato) è reso mediante la luce; non ne conosciamo l'origine fisica; non proviene dalla finestra, che pure è chiaramente visibile davanti a noi; proviene, intensa e obliqua, da destra, come se la porta, dalla quale è appena entrato Cristo, posta a un livello più alto della stanza, fosse rimasta spalancata. Ma proprio perché non possiamo renderci conto sicuro della sua provenienza, perde il significato razionale, concreto, di luce reale; non è più il "lume universale" del rinascimento, è una luce morale, che scende sfiorando la testa di Gesù ed esaltandone e individuandone la bella mano, si sofferma sugli astanti, bloccandoli nell'atto che stanno compiendo, conferendo loro intensa vita plastica» [2].
L'irrompere della grazia nella vita di Matteo, quasi come un avvenimento inatteso, si evince non solo dalla luce, ma anche dall'atteggiamento di Levi e degli altri attorno a lui. E' però soprattutto la differenza delle reazioni dei vari personaggi a sottolinearlo. 

Intenti nell'effettuare il conto delle monete, i due uomini all'estrema sinistra non accennano il minimo movimento del capo per osservare Gesù, rimanendo assorbiti dalle faccende "del mondo"; i due, più giovani, maggiormente vicini alla porta, lanciano al Maestro degli sguardi tra l'annoiato e l'incuriosito, che non dimostrano un vero interesse per il "messaggio" che Gesù viene a recare. 

Matteo, al contrario, viene "scosso" dalla perentorietà e immediatezza del gesto di chiamata operato dal Maestro. Lo si legge nel suo sguardo, nel pacato stupore dei suoi occhi bene aperti e puntati sul Cristo (quasi in un equilibrio di sentimenti che consente a Caravaggio di descrivere un Matteo né esagitato, né indifferente all'irrompere della Grazia), nel gesto del dito puntato contro di sé. 


Levi passa così, dall'essere immerso nella sua attività esattoriale (e nel suo peccato) all'essere "travolto" dalla Misericordia Divina, che agisce secondo i suoi disegni imperscrutabili. Matteo sembra infatti voler chiedere a Gesù: "Sono proprio io quello che cerchi?".

Il Volto della Misericordia e il "dito" di Dio

Il sapiente uso caravaggesco della luce consente di rintracciare una risposta valida per ogni uomo: Gesù viene sempre a chiamare la pecorella smarrita. Caravaggio mette bene in luce soltanto due "dettagli" della figura di Cristo: il volto e la mano destra. Usando le parole di papa Francesco, possiamo rileggere il primo elemento lasciandoci guidare dalla Misericordiae Vultus: 

«Gesù Cristo è il Volto della Misericordia del Padre. La vocazione di Matteo è inserita nell’orizzonte della misericordia. Passando dinanzi al banco delle imposte gli occhi di Gesù fissarono quelli di Matteo. Era uno sguardo carico di misericordia che perdonava i peccati di quell’uomo e, vincendo le resistenze degli altri discepoli, scelse lui, il peccatore e pubblicano, per diventare uno dei Dodici. San Beda il Venerabile, commentando questa scena del Vangelo, ha scritto che Gesù guardò Matteo con amore misericordioso e lo scelse: miserando atque eligendo» [3].
Il secondo dettaglio (la mano di Gesù "puntata" verso Matteo) è invece una vera e propria "citazione" pittorica operata da Caravaggio, che rimanda infatti alla celebre Creazione di Adamo, affrescata da Michelangelo Merisi nella Cappella Sistina, a cavallo tra il primo  e il secondo decennio del 1500.
La mano di Gesù ricalca quella di Adamo, a simboleggiare che Cristo è il Nuovo Adamo,  "l'uomo nuovo" che viene a fare nuove tutte le cose (cfr. Ap 21,5) e a ridonare vita alla creatura interiormente morta a causa del peccato.

Michelangelo Merisi, La creazione di Adamo, particolare, (1508 - 1512), Cappella Sistina.
A sinistra, la mano di Adamo, a destra, quella di Dio Padre.
Il rimando pittorico mira a immergere lo spettatore nella scena della Genesi, così come uscita dalla mente artistica di Michelangelo Merisi. Michelangelo aveva voluto dare l'idea della vita che passa da Dio all'uomo attraverso il contatto che sta per avvenire tra le loro mani, anzi, proprio in quell'apparente spazio "vuoto" tra le dita dell'uno e dell'altro; così, Caravaggio, ripetendo questo elemento all'interno della sua tela, vuole indicare che solo lasciandosi toccare da Cristo è possibile riacquistare la vita nel senso spirituale del termine.
«Si tratta di una raffinata citazione, che crea un rimando complesso tra il creato e il creatore, tra la natura umana e la natura divina di Cristo, tra creazione e redenzione, tra Adamo e Cristo, che si trasferisce - con la sottolineatura del nuovo rapporto di "creazione" sottinteso dalla chiamata  - fra Gesù e Matteo» [4].
Siamo di fronte al «dito di Dio» che scaccia i demoni che albergano nel cuore e nella vita dell'uomo, segno eloquente che è giunto il regno di Dio (cfr. Lc 11,20).

 Rispondere "col cuore": «Se vuoi... vieni! Seguimi!»

Il gesto di Matteo, che al dito di Gesù, puntato verso di lui, risponde a sua volta indicando se stesso, è eloquente della necessità, per ogni uomo, di operare una scelta libera e volontaria alla chiamata di Dio.
Matteo porta il dito sul lato del cuore, cioè su quell'organo che, biblicamente, è simbolo dell'intera persona.
«Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore» (Dt 6,5). Nella Bibbia l’invito ad amare il Signore coinvolge sempre il “cuore” dell’uomo. Infatti, mentre per noi il cuore indica il “luogo” dei sentimenti e dell’affetto, nella concezione biblica designa invece tutto l’uomo, la sua volontà e coscienza, la sua capacità di scegliere e di decidere tra il bene e il male. Nel cuore è quindi il centro della persona, da cui si diffondono il bene e il male. Per questo Gesù può dire ai suoi contemporanei che il male non viene dal di fuori dell’uomo, ma ha le sue vere origini nell’uomo stesso, nelle sue scelte, nel suo stile di vita, cioè nel suo “cuore”: «Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri… invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo» (Marco 7,21-23; Cfr anche Matteo 15,10-20). Nel “cuore” dell'uomo quindi culmina l’opera educatrice di Dio che, partendo dalle molte norme esteriori, è ora finalmente arrivata, con la parola di Gesù, al suo centro, alla sua interiorità, al suo “cuore”» [5].
Nel gesto di Matteo e nella "richiesta" di Gesù, è possibile "rivedere" una scena narrata da Marco, quando Gesù incontrò il giovane ricco e «fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: "Una cosa sola ti manca: va', vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!"» (Mc 10,21).
Gesù sta invitando Matteo a "puntare" sulla propria interiorità per trovare la sua risposta alla "proposta vocazionale" e, infatti, «il tema della chiamata consente di sottolineare la giusta relazione tra l'onnipotenza e l'onniscienza di Dio, da un lato, e la libera volontà umana, dall'altro» [5].
Il Vangelo della festa liturgica di San Matteo, definisce la "conclusione" dell'opera di Caravaggio. Una conclusione che il pittore ha affidato non ai colori, alle luci, o alle ombre, ma ha lasciato alla Parola stessa: «Egli si alzò e lo seguì».


NOTE

[1] Pietro Adorno, L'arte italiana, Vol. secondo, Tomo secondo, Casa Editrice G. d'Anna, 1993, p. 1069.
[2] Pietro Adorno, Ibidem, p. 1070.
[3] Francesco, Misericordiae Vultus, nn. 1; 8.
[4] Rodolfo Papa, Cavaraggio, Lo stupore dell'arte, Arsenale Editrice, 2009, p. 118.
[5] Primo Gironi, Il "cuore" nella Bibbiahttp://www.la-domenica.it/guida-all-ascolto-della-parola-8.html
[6] Rodolfo Papa, Ibidem, p. 118.

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