lunedì 9 settembre 2013

SONO FORSE IO IL CUSTODE DI MIO FRATELLO? -Riflessioni a margine della giornata di digiuno e preghiera per la pace


"Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gen 4,9). 
Anche a noi è rivolta questa domanda e anche a noi farà bene chiederci: Sono forse io il custode di mio fratello?
Sì, tu sei custode di tuo fratello!
 Essere persona umana significa essere custodi gli uni degli altri!
 E invece, quando si rompe l’armonia, succede una metamorfosi: il fratello da custodire e da amare diventa l’avversario da combattere, da sopprimere. 
Quanta violenza viene da quel momento, quanti conflitti, quante guerre hanno segnato la nostra storia! "

(Papa Francesco, veglia di preghiera per la pace, 7 settembre 2013)

 
Caino uccide Abele- Duomo di Monreale


Le parole di Papa Francesco, pronunciate nel corso della veglia di preghiera per la pace, hanno trovato un'eco nel Vangelo di ieri, XXIII Domenica del T.O. (Lc 14,25-33):

"Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo". 

A prima vista sembra che i due passi non abbiano nulla a che vedere.
Gesù dice: amaMi più di quanto ami gli altri.
Questo, a volte -o spesso a seconda delle situazioni- comporta non tanto una vera e propria "armonia" fra gli esseri umani, ma quella che Cristo stesso definisce altrove "la spada" ("Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada"  Mt 10,34)


Ma, paradossalmente, questa "spada", questa apparente "divisione" è ciò che può condure alla pace vera.

Il Vangelo di ieri non fa esplicito riferimento alla chiamata vocazionale, in quel "viene a me": è vero che in altri brani evangelici si parla del lasciare tutto e tutti per seguirLo radicalmente, ma nemmeno quel "lasciare" implica un distacco "del cuore", un disinteresse dell'anima. E' piuttosto un distacco dal "disordine nell'attacamento", da quel senso di possesso quasi fisico che desidera sempre la presenza dell'affetto, la vicinanza, la possibilità di controllarlo e curarlo quasi materialmente.

Nel passo evangelico di ieri è più sottilmente comprensibile proprio questo significato del "lasciare senza lasciare", del "custodire senza posedere": in quel riferimento alla moglie, ai figli ritroviamo affetti che Dio ha sempre indicato come viscerali, paragonandosi nell'Antico Testamento ad una madre che nn può abbandonare il proprio figlio (Is 49,13-15) e poi, nel Nuovo, ha sempre difeso, ribadendo, ad esempio, l'indissolubilità del matrimonio (Mc 19,8).

Amare Dio più dei propri cari, allora, non vuol dire rendersi incuranti della loro sorte, del loro vero bene,specie in termini spirituali.

La spada che porta il Cristo è quella di una Verità che va proclamata, difesa, custodita anche davanti ad eventuali loro rifiuti o opposizioni.
E' qui che scatta l'azione del "custodire": la guerra nasce dalla necessità di non tacere la Verità (perché il Padre della Menzogna conduce alla divisione, al caos), ma determina anche la pace del sapere lavorare con pazienza, quasi come uno stratega, un diplomatico, per non distruggere quel poco di armnia che è insito per natura nei rapporti affettivi (se no, che affetti sarebbero?).

Ecco la custodia: apprendere, mettere in pratica l'arte a volte certosina di lavorare sul bene -fosse anche pochissimo- già esistente, per ottenere  "di più".

Penso a tanti luoghi di lavoro o a tanti famiglie in cui non tutti i colleghi o non tutti i familiari siano credenti o lo siano a modo loro.
La diversa prospettiva religiosa, non di rado è in grado di condurre a dissensi su molte questioni.
Lo sforzo del "custodire" è qui veramente difficile, ma doveroso: non permettere che l'altro continui a perseguire la strada dell'egoismo, dell'errore, dell'autoreferenzialità, ma poco per volta, anche a partire da punti di incontro non religiosi, cercare di condurre a quel bene prezioso che è il bene comune, al di là del Credo professato.

In questo senso, la custodia dell'altro diventa una sorta di azione segreta, nascosta, come la stessa etimologia della parola indica.
Custodire, infatti, rimanda sia a "coprire, difendere" che a "nascondere".
Dunque, custodia dell'altro per la pace in ogni campo è una doppia azione: preservare l'altro da ciò che è a lui nocivo, nasconderlo al male, ma anche svolgere quasi "segretamente" con discrezione, questa attività di protezione.

Compito non facile, ma se pensiamo a quante volte Dio stesso rimanga vicino all'uomo in un modo silenzioso e paziente, forse il compito ci diventa meno gravoso.
Il Signore si serve anche dell'angelo...custode, proprio con questo ruolo: un angelo che è sempre al nostro fianco, che ci suggerisce ispirazioni, soluzioni, che intercede per noi presso il Padre e che non ci abbandona mai, neanche quando scegliamo il male e rinneghiamo il Bene.

Proviamo ad imitare quel Dio Misericordioso e Giusto che sa con pazienza "vegliare" sul nostro cammino senza forzarci, ma sempre per condurci a ciò che è buono e giusto.

Imitiamo anche nostra Madre, Maria Santissima, che con cuore materno non abbandona i suoi figli mai, neanche quando presumano di avere raggiunto l'autonomia e la maturità per scegliere da soli. 

Anche Dio ha scelto la Croce della pazienza, della cura fedele dell'altro anche questo è causa di sofferenza per l'ostinazione dell'altro.
Anche Maria Santissima è rimasta ai piedi di quella Croce.

Rimaniamoci anche noi, certi che, nei rapporti quotidiani, a volte custodire l'altro è crocifiggere noi stessi, ma, come ci ha ricordato Papa Francesco
  :





"La mia fede cristiana mi spinge a guardare alla Croce.

 Come vorrei che per un momento tutti gli uomini e le donne di buona volontà guardassero alla Croce! 

Lì si può leggere la risposta di Dio: lì, alla violenza non si è risposto con violenza, alla morte non si è risposto con il linguaggio della morte. 

Nel silenzio della Croce tace il fragore delle armi e parla il linguaggio della riconciliazione, del perdono, del dialogo, della pace".


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