QUANTO DURA UN PROFUMO?
Meditazioni per la Settimana Santa
Maria allora prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo.
Allora Giuda Iscariòta, uno dei suoi discepoli, che stava per tradirlo, disse: «Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?». Disse questo non perché gli importasse dei poveri, ma perché era un ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro. Gesù allora disse: «Lasciala fare, perché ella lo conservi per il giorno della mia sepoltura. I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me». (Gv 12, 3-8) |
Il Lunedì Santo è il giorno del profumo, del nardo "prezioso", che letteralmente, in greco, è definito "fedele". Una fragranza costosissima, che Maria sparge sui piedi di Gesù, attirando l'ammirazione di Cristo, ma anche lo scontento di Giuda, desideroso di fare altro con l'equivalente in denaro di quell'essenza.
Vale tanto quanto pesa, quel nardo. Trecento grammi per trecento denari. Una perfetta equivalenza di un denaro al grammo, e di grammi e denari che sembrano volatilizzarsi, dissolvendosi solo in una scia, nel momento stesso in cui il profumo assolve al suo scopo.
Ma dopo la perfetta matematica, nel brano di Giovanni arriva il momento dell'enigma, l'enigma del profumo: nelle parole di Giuda esso sembra essere stato tutto, irrimediabilmente, incoscientemente sprecato... in quelle di Gesù pare invece che ce ne sia ancora, e che vada destinato alla sua sepoltura.
L'evangelista o Gesù o Giuda sono forse impazziti? No, è la chiave di comprensione sta in quella parola iniziale, in quell'attributo "fedele", che evidentemente Giovanni non usa a caso.
In effetti il nardo è stato "fedele" a se stesso: proprio come il servo inutile della parabola ha fatto quello che doveva fare (cfr. Lc 7,10). Maria l'ha usato per lo scopo per il quale era stato creato: profumare. Il profumo, che è una "cosa", è stato fedele, ed è tanta la "stranezza" di questo aggettivo che le traduzioni lo riportano come "puro" o "genuino"... Eppure proprio la fedeltà del nardo – la fedeltà di una "cosa" –, stride con l'infedeltà di Giuda – l'infedeltà di una "persona". Una persona che parla del bene dei poveri mentre in verità ha in mente solo la propria avidità; una persona che dice il falso; una persona che agisce con malizia.
Il parallelo del nardo è invece Gesù, l'immagine del Dio fedele, che non può mai rinnegare se stesso, tanto che – lo dirà san Paolo – se l'uomo smette di essere fedele, Dio no, non può mai essere infedele, perché Egli non può rinnegare se stesso: Dio è la fedeltà, e in Gesù è la fedeltà in persona (cfr. 2 Tm 12,13).
E la fedeltà non contempla i concetti di spreco, parzialità, calcolo, termine.
La fedeltà è generosa, così come dimostra il nardo, che non solo riempie di sé i piedi di Gesù, ma abbraccia tutta la casa. La fedeltà è generosa quasi fino a dare l'impressione di essere incomprensibile, irrazionale, assurda... agli occhi di molti anche un po' "stupida".
E questo perché essa sembra portare all'esaurimento: il nardo si consuma sulla carne e nell'aria esattamente così come la vita di Gesù si consumerà sulla croce.
Ma lo "spreco", in realtà, è solo apparente: il profumo, infatti, non è solo per chi lo indossa, ma allieta chiunque passi accanto a chi si è profumato; così la morte di Gesù non è solo meritoria per lui stesso, Figlio fedele al Padre, servo obbediente fino alla morte... ma è una morte che diviene fonte di salvezza tutti per gli uomini.
Ecco il "ritorno", il "guadagno" della fedeltà, quello di cui poi scriverà san Paolo, dicendo: «Mi sono fatto debole per i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno» (Cor 9,22).
L'egoismo è il vero spreco che ci toglie il "fiuto" per il guadagno della fedeltà, e la pazienza per aspettarlo...
Sul legno issato sul Golgota il Maestro sembra porre termine – quasi come fosse una meteora – alla sua piccola parabola di gloria di quando era stato osannato come un profeta, un guaritore, il Messia. Come il nardo, la cui fragranza finisce con l'evaporare nell'aria al passaggio del tempo, Cristo sembra scomparire nel momento della morte, e la sua chiusura nel sepolcro pare cancellarlo agli occhi del mondo.
Ma la Domenica di Pasqua racconterà un'altra storia: non tutto ciò che sembra invisibile, impalpabile, etereo è destinato a durare per poco, a finire, a essere dimenticato.
Il profumo si imprime sulla pelle, nelle narici di chi lo sente, nella sua memoria: così tanto da poterlo ricordare per anni, forse anche per tutta la vita. Allo stesso modo Dio ha voluto imprimere su di sé la nostra carne umana, diventando uno di noi; di più: ha voluto imprimere Lui in noi, donandosi fedelmente agli uomini, pegno di una donazione eterna, perché dovunque essi vadano veramente possano dire: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2,22).
Brevi intense poetiche spirituali meditazioni.
RispondiEliminaPer un accompagnamento/avvicinamento al Mistero dell'Amore e del Dono