mercoledì 24 febbraio 2010

L'ANTIDOTO ALL'ANESTETICO DELLA MODERNITA': l'invito del Santo Padre ai sacerdoti ad essere “uomini”

“Il sacerdote deve essere uomo. Uomo in tutti i sensi, cioè vivere una vera umanità, un vero umanesimo”: è questo l'invito -rivolto dal Santo Padre- ai parroci e sacerdoti di Roma, riunitisi il 18 febbraio scorso per l'annuale “Lectio Divina” del Pontefice.
Nell'anno sacerdotale in corso, indetto nel giugno 2009, Benedetto XVI torna -ancora una volta- sull'argomento di un ne
cessario rinnovamento della figura del “prete” nella nostra epoca. Una figura che sempre più spesso appare secolarizzata, imbevuta di mentalità e mode transitorie, a dispetto del Cristo, che è invece eterno ed immutabile e a cui ciascun sacerdote dovrebbe guardare, come a guida e modello.
L'uomo “deve sviluppare la sua intelligenza, la sua volontà, i suoi sentimenti, i suoi affetti; deve essere realmente uomo, uomo secondo la volontà del Creatore, del Redentore, perché sappiamo che l'essere umano è ferito” dal peccato".
Sembrerebbero parole “banali”, scontate. Ma i nostri tempi ci dimostrano che non è affatto così.
In una società sempre più inquinata dal male, non di rado sono gli stessi “alter Christi” a dimenticare che l'uomo ha sì bisogno di comprensione e misericordia, ma che non può essere sempre “giustificato” prescindendo dalle conseguenze sociali (e religiose) che una “giustificazione tout court” può comportare.
Si dice: “ha mentito”, “è umano; “ha rubato”, “è umano”; ma questo non è il vero essere umano. Umano è essere generoso, è essere buono, è essere uomo della giustizia, della prudenza vera, della saggezza”. Il Papa lo ricorda senza mezzi termini: non è un finto buonismo, che ammetta ogni errore in virtù della filosofia del “fanno tutti così” a condurre ad una pienezza dell'essere. Non è l'automatica dispensa di un perdonismo senza sostanza a portare ad una società equa e vitale.

Lo dimostrano -anche in campo diverso da quello religioso- i tanti fallimenti del sistema giustizia “indultista”, delle famiglie fondate sulla logica dell'accontentare sempre e comunque (e non dell' “educare”), delle istituzioni scolastiche dove bullismo e disinformazione non hanno spesso freno.
Al contrario, solo la comprensione delle alte vette cui l'essere umano può aspirare, conduce ad una realizzazione dell'uomo, anche quando occorra passare attraverso la strada della correzione, del richiamo, dei punti fermi. La vicenda dei “preti irlandesi” e degli altri casi di pedofilia nel clero, ce ne dà testimonianza. Il Santo Padre non indietreggia davanti alla necessità di un atteggiamento saldo e concreto, non inneggia al buonismo di massa e non occulta responsabilità, fatti, interventi. Predica bene e agisce altrettanto coerentemente, dimostrando che esista -anche al giorno d'oggi- una via “alternativa”, un antidoto, al pericoloso anestetico di massa che rende abituati a tutto, capaci di adattarsi ad ogni svilimento di valori e -peggio ancora- ad una decadenza dei principi della nostra fede.
“Elemento essenziale del nostro essere uomo è la compassione, è il soffrire con gli altri: questa è la vera umanità. Non è il peccato, perché il peccato non è mai solidari
età, ma è sempre desolidarizzazione […] Si suppone che il sacerdote entri come Cristo nella miseria umana, la porti con sé, vada alle persone sofferenti, se ne occupi, e non solo esteriormente, ma interiormente prenda su di sé, raccolga in se stesso la passione del suo tempo, della sua parrocchia, delle persone a lui affidate. Così Cristo ha mostrato il vero umanesimo”.
E' un pensiero costante -questo- nel magistero raztingeriano: già nel 2007 il Papa, ad Auronzo, sottolineava come il sacerdote non sia un “sacro burocrate” e quanto diventi necessario, per portare l'acqua della fede all'umanità, ricorrere -fra gli altri- ai “mezzi” della testimonianza della vita vissuta cristianamente, della conoscenza delle sacre scritture, della preparazione ai Sacramenti come strumento di “incontro profondo” con i fedeli. Il cristianesimo -diceva sempre allora il Papa- non è un “aut aut” tra umanità e divinità. E ai sacerdoti riuniti il 18 febbraio, ha ribadito la necessità di un'intima unione tra questi due aspetti: rimanere -nel cuore- con lo sguardo fissi su Dio, ma portare in sé il dolore dell'umanità. Non per poche ore soltanto, come in un “ufficio a tempo”, ma in ogni istante, nella perfetta obbedienza a Dio: “l'obbedienza a Dio, cioè la conformità, la verità del nostro essere è la vera libertà, perché è la divinizzazione” che ci consente di “raccogliere l'essere umano per portarlo -co
n il nostro esempio, con la nostra umiltà, con la nostra preghiera, con la nostra azione pastorale- nella comunione con Dio”.
Il sacerdozio non è una professione, è una permanente condizione di vita, in Cristo e a servizio degli uomini. Che le parole del Papa possano ricordarlo a quanti -persi dietro “l'abitudine” della veste talare- si sono anestetizzati dal mondo che soffre ed è assetato di Dio, dimenticando l'esempio del Curato d'Ars, il parroco “di campagna” capace di confrontarsi col male del mondo, chiuso nel confessionale, fino a 17 ore al giorno.
Quello stesso prete, che non a caso, il Santo Padre offre come modello -a tutti i preti del mondo- in quest'anno sacerdotale.


Trovate questo articolo anche sul sito www.pontifex.roma.it

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