giovedì 8 febbraio 2018

Pensieri per lo spirito

«DAL DI DENTRO ESCONO 
I PROPOSITI DI MALE»
La medicina per il "cuore"



 [Gesù] «diceva: "Ciò che esce dall’uomo è quello che rende impuro l’uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo"». (Mc 7, 20-23)






Il cuore... buono o cattivo?

Il Vangelo è esigente. Gesù lo è. Essere cristiani lo richiede. E quando Cristo parla del cuore dell'uomo non ci invita ad accontentarci di una spiegazione banale, ma ci spinge a ragionare con attenzione su ciò che siamo veramente.
Gesù non dipinge il cuore umano in tinte pastello, al contrario usa toni forti, cromatismi accesi, quasi con pennellate grossolane che albergano ruvidamente sulla tela e ci fanno sentire a disagio nel guardare il risultato finale.
Perché l'essere umano è convinto (molto spesso) che dire cuore significhi parlare di romanticismo e tenerezza, di affettuosità e delicatezze, di attitudini gentili e generose. Che il cuore, in sintesi, possa essere foriero solo di cose buone e belle, gradevoli, interessanti, gioiose, come un dipinto dai colori sfumati e dalle luci soffuse.
Invece no, qui la Parola ci contraddice, facendo una disamina del cuore umano molto più onesta e realista di quella che noi stessi siamo soliti fare. Noi siamo abili nel camuffare il brutto sotto le vesti dell'accattivante, del piacevole, del soddisfacente. Così l'egoismo lo tramutiamo in amore verso noi stessi, la superbia in autostima, l'invidia nella risposta sacrosanta a un torto subito, la sensualità smodata in esigenza naturale, e via dicendo. Invece il Vangelo mette nero su bianco che proprio dal cuore – cioè da quello che nel linguaggio della Bibbia è il centro della persona, il simbolo della persona stessa nella sua interezza – provengono tanto i desideri cattivi quanto quelli buoni. 
Non ci sono mezze misure: è dall'insieme di ciò che siamo (anima-corpo /materia-spirito /peccatori-in ricerca di santità) che fuoriescono tanto l'amore quanto l'odio, tanto la generosità quanto l'avarizia, tanto la solidarietà quanto la chiusura, tanto la difesa della vita quanto la volontà di morte. Il cuore è come il mare in cui si raccolgono le acque di tutti i fiumi che ci attraversano: la ragione, gli impulsi, gli istinti, i sentimenti buoni e cattivi, la riflessione, i moti quasi inconsapevoli e quelli invece più calcolati e voluti.
Nel nostro cuore avviene una lotta continua tra il bene e il male, tra il giusto e l'ingiusto, tra ciò che vorremmo diventare e ciò che invece sentiamo di essere nella nostra natura impastata di carne tentabile, facile alla caduta, al compromesso, all'accontentarsi della scelta più mediocre, che soddisfa solo sul momento.
È come se in quel centro vitale del nostro essere biologico e spirituale si combattesse quotidianamente una battaglia proprio per la vita o la morte. 
Guai se quella battaglia vedesse vincere la morte. Allora dal cuore uscirebbero i pensieri cattivi; le parole astiose e calunniose; i gesti volgari, senza pazienza e senza dolcezza; le decisioni egoistiche che seminano distruzione nella vita degli altri; le strategie che uccidono nel corpo e nello spirito colui che ci sta di fronte. 

Gesù è la medicina per il cuore

Il problema non è, infatti, la lotta. La lotta fa parte della vita stessa. Il nostro corpo ce lo dimostra, nella sua affannosa resistenza biologica a ciò che quotidianamente lo attacca; nella sua necessità di sfamarsi e dissetarsi a volte oltre la reale necessità, per il semplice desiderio di farlo; nell'impellenza dell'alternanza tra sonno e veglia, attività e riposo.
No, il problema è "chi" facciamo vincere in questa battaglia, in questo continuo duello tra il bene che vorremmo fare e il male che non vorremmo compiere (cfr. Rm 7, 19).
San Paolo lo dice a chiare lettere: 

«Dunque io trovo in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me. Infatti nel mio intimo acconsento alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un'altra legge, che combatte contro la legge della mia ragione e mi rende schiavo della legge del peccato, che è nelle mie membra. Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte? Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore! Io dunque, con la mia ragione, servo la legge di Dio, con la mia carne invece la legge del peccato». (Rm 7, 21-25).

Anche Gesù è stato tentato, e proprio perché ha sempre obbedito a Dio piegando consensualmente la propria volontà a quella del Padre, Egli può diventare la "medicina" del nostro cuore.
Così anche noi, pur se la nostra carne "tende" al peccato, possiamo vincerla con la "ragione", con la volontà ferrea di voler seguire Dio. È la fede non fatta solo di sentimentalismo del momento, ma "applicata" con intelligenza nel quotidiano che rende vittoriosi i propositi di bene nella lotta ingaggiata nel nostro cuore, cioè nella nostra persona. Quando Gesù è tentato dal diavolo nel deserto (cfr. Mt 4, 1-11) non vive quel momento con la semplice emotività, ma con intelligenza. Alle proposte allettanti del demonio, Gesù controbatte con risposte sagge, ragionevoli, basate sulla conoscenza della Scrittura, frutto di un amore per il Padre lungamente coltivato. Risposte così "matematicamente" inattaccabili che la volontà del Cristo rimane ferma nel voler seguire la Legge di Dio, e il demonio non può che allontanarsi, sconfitto, dopo aver proposto ogni sorta di bene materiale al Figlio di Dio fattosi uomo. Gesù non risponde con rabbia e non abbraccia il fascino della tentazione. Il suo cuore rimane «mite e umile» (Mt 11,29), così come Egli stesso lo definisce, ed è questa la chiave della vittoria dei propositi di bene su quelli di male. L'umiltà ci rende consapevoli dei limiti della nostra fragile natura umana,  vigilanti contro gli assalti della tentazione, e ci sprona a confidare più in Dio che in noi stessi. 

«La mitezza è un atteggiamento del cuore che ci dona la padronanza assoluta di noi stessi nelle difficoltà, nelle prove e nelle sofferenze della vita. La mitezza non conosce la collera e la violenza, ci aiuta a dominare tutte le manifestazioni dell’orgoglio: lo sdegno, la collera, lo spirito di gelosia o di vendetta, la tentazione di imporsi agli altri e di dominare gli altri» [1].

Sta a noi dunque scegliere se essere buoni o cattivi, se alimentare propositi di bene  o di male. L'uomo non è in balia di forze oscure che lo dominano. Egli può, così come Gesù, riuscire ad allontanare il male che vorrebbe prevaricare, e trovare in fondo al proprio cuore – nel nucleo più profondo di sé – la presenza di Dio, la presenza dell'Amore che sconfigge le tenebre del peccato, del male e della morte.



[1] Tonia Abbattista, Il frutto dello Spirito è la mitezza, Sito internet ufficiale su Luisa Piccareta

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