martedì 11 aprile 2017

Pensieri per lo spirito

TRADIRE O SEGUIRE?
Meditazioni per la Settimana Santa


Il Martedì Santo offre alla nostra meditazione l'annuncio che Gesù fa del tradimento di Giuda e di quello di Pietro. Due apostoli, due amici di Gesù. L'avvertimento è chiaro: non basta stare fianco a fianco con Dio per presumere di essere esenti dal male. Occorre vigilare, in atteggiamento umile, per dominare il peccato che sta «accovacciato» alla nostra porta (cfr. Gn 4, 7).





James Tissot, L'Ultima Cena



UN DIO TRADITO

«Uno di voi mi tradirà» (Gv 13,21) è la frase, deflagrante come un ordigno, che attraversa il Vangelo del Martedì Santo. A pronunciarla è un Gesù profondamente turbato (v. 21), un Gesù che siede a mensa con i suoi [1], in un clima familiare, come è quello della tavola attorno a cui si ritrovano abitualmente degli amici intimi. Ma questo clima rassicurante viene bruscamente interrotto. Il turbamento di Gesù orienta la scena, determinando le inquadrature con cui l'evangelista ricorda l'episodio e lo fissa sulla carta.
Il primo elemento su cui ci fa concentrare è l'immersione accelerata, improvvisa, che anche noi siamo chiamati a "vivere" insieme a Gesù: dall'atmosfera materiale della mensa siamo catapultati in quella immateriale e interiore del Cristo, nel suo turbamento che sembra comparire all'improvviso, ma così intensamente da rendere necessaria una sua esternazione.
La frase-bomba scatena il silenzio: è questa la prima reazione dei commensali. Siamo alla seconda inquadratura: un silenzio riempito di interrogativi che viaggiano inizialmente solo attraverso gli occhi, rimbalzando da un discepolo all'altro: «i discepoli si guardavano l'un l'altro, non sapendo bene di chi parlasse» (v. 23). Nessuno ha il coraggio di rivolgersi direttamente al Maestro, dopo un'affermazione di tale portata. La terza angolatura ci immette direttamente nella quarta: Pietro, con un cenno, delega il compito al discepolo più vicino al Cristo, che chinandosi sul suo petto, formula la domanda. Allora ritorniamo a vedere Gesù al centro della scena, quando risponde fornendo un indizio: colui al quale darà il boccone intinto sarà il traditore (v. 26). Se fossimo in un film, quasi certamente la scena andrebbe al rallentatore, mostrandoci il passaggio di boccone dal Cristo a Giuda. 
Il gesto di Gesù rappresenta il suo tentativo di toccare il cuore di Giuda, di farlo desistere dal suo proposito di tradimento. È un gesto di ospitalità, e il boccone può essere tanto un pezzo di pane, quanto di erbe amare, che in occasione della Pasqua erano intinte in una salsa: quel cibo  si fa simbolo del dono totale che Gesù fa di se stesso, del suo consegnarsi nelle mani del traditore, non opponendosi alla scelta libera di Giuda [2].
Il Vangelo non descrive il tono di voce di Gesù, non ci dice se abbia parlato facendosi udire da tutti o se abbia sussurrato all'orecchio di chi lo aveva interrogato. 
Certamente almeno questi avrà carpito la risposta che svelava la triste verità su Giuda, eppure proprio ciò che succede di lì a poco sottolinea impietosamente che c'è modo e modo di capire, e che probabilmente, la tragica rivelazione dell'imminente tradimento non viene colta in tutta la sua portata drammatica e nelle sue implicazioni sulla vita di ogni uomo. 

Spavaldi o umili?

«Quello che vuoi fare, fallo presto» (v. 27), dice Cristo a Giuda. E Giuda esce, ormai spinto dal suo proposito cattivo. Il male ha preso possesso di lui, come sottolinea l'evangelista, nel dettaglio di sapore teologico: «Era notte» (v. 30). Nessuno dei commensali associa queste parole (o l'uscita del discepolo dalla sala) al preannunciato tradimento da parte di uno dei Dodici. Poco intuitivi, o forse solo privi di malizia, gli apostoli collegano questa frase a qualcosa di materiale, così come dimostra di fare anche Pietro, in seguito al secondo annuncio che Gesù fa in questo stesso brano sulla propria morte imminente: «Signore, dove vai?» (v. 36).
Se Giuda si allontana nella spavalderia del suo proposito di male, Pietro, dal canto suo, assume un atteggiamento altrettanto spavaldo e agisce facendo trasparire una grande sicurezza di sé, e poi una forza che, invece, in seguito dimostrerà di non possedere: «Darò la mia vita per te!» (v. 37).
E proprio il Cristo, ancora una volta, riporta anche Pietro coi piedi per terra: «Darai la tua vita per me? In verità, in verità io ti dico: non canterà il gallo, prima che tu non m'abbia rinnegato tre volte» (v. 38).
È la seconda frase a effetto bomba che Gesù fa scoppiare, quella sera, in quella sala. Non uno solo lo tradirà, ma addirittura due.
E la storia, poi, dimostrerà che saranno molti di più ad abbandonare Cristo nel momento peggiore della sua esistenza terrena.

Un messaggio per l'uomo: il rischio di tradire è sempre in agguato

L'incomprensione dei discepoli (e in modo particolare l'atteggiamento di Pietro) sottolinea in maniera evidente che nessuno può dichiararsi esente dal rischio di tradire Dio, di rinnegarlo, di venderlo, di abbandonarlo.
Il tradimento di Giuda, preannunciato da Gesù, avrebbe dovuto spingere i discepoli non a una manifestazione gagliarda di fedeltà, ma a un atteggiamento umile di introspezione e di vigilanza sui propri pensieri, desideri e azioni.
Ed è questo avvertimento che Gesù continua a lanciare anche a noi, oggi: è possibile stare vicino a lui, pensare di conoscerlo e di amarlo con tutte le proprie forze, e nonostante questo covare e far proliferare in sé propositi cattivi, che rischiano di farci deviare dalla sua sequela. Nessuno può dirsi messo al riparo da questo rischio, perché, come ci ricorda san Paolo, ciascuno sperimenta, nella propria vita, il fatto di peccare, cioè di commettere non il bene che si desidererebbe, ma il male non si vorrebbe (cfr. Rm 7,19).
La presunzione di essere totalmente al riparo dalla possibilità di sbagliare nel proprio rapporto di fedeltà a Dio è il primo passo falso nel cammino della vera sequela. Significa infatti abbassare la guardia, chiudere gli occhi sulla realtà dell'io, un io umano, impastato di fragilità e di quelle che Giovanni chiamerà la triplice concupiscenza (1 Gv 2,16). San Pietro, che bene ha sperimentato l'amarezza per aver tradito Gesù, scriverà: «Siate sobri, vegliate. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro cercando chi divorare» (1Pt 5,8).
Il messaggio dell'Ultima Cena è esattamente questo: il male esiste, il peccato è «accovacciato» alla nostra porta (cfr. Gn 4, 7) e dipende dal personale libero arbitrio impedire che esso prenda possesso di noi, guidando le nostre azioni.
Gesù descrive la realtà delle cose senza edulcorarla; mette in evidenza le difficoltà sempre presenti nella vita dell'uomo, in cui le seduzioni del male, le tentazioni materiali (Giuda venderà Gesù per trenta denari), una falsa concezione della vita (Pietro rinnegherà Cristo per paura di fare una brutta fine in mano alle autorità politiche e religiose) rischiano di allontanarci da Dio.
Gesù ci pone apertamente davanti alla necessità di scegliere: tradire o seguire. Non c'è via di mezzo.


NOTE
[1] Si può ipotizzare, come si vedrà poi dal gesto del discepolo che si chinerà sul petto di Gesù, che la cena si svolgesse utilizzando i triclinium romani. Cfr. Angelico Pioppi, I quattro Vangeli. Volume II. Commento sinottico, Messaggero di Padova, 2006, p. 638.

[2] Cfr. Ibidem, p. 639.

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