mercoledì 16 dicembre 2009

Pensieri per lo spirito / 4


E NON TROVARONO POSTO NELL'ALBERGO
Corsi e ricorsi storici della vita interiore

Qualche anno fa, ricevetti in dono da un sacerdote un bellissimo libro, tanto piccolo in termini di pagine, quanto ricco dal punto di vista del contenuto.
Il volume, “Viaggio spirituale per l'uomo contemporaneo”, di Henri Nouwen, mi spiazzò: parlava di un “qualcosa” che cominciavo ad assaporare, non sapendo ancora però, o non almeno con precisione, come si chiamasse, da dove arrivasse,quale fosse lo scopo di quel cibo nuovo e ancora tutto da scoprire!
Arrivata a pagina 8, sottolineai queste parole:“La questione della vita spirituale è una questione assai provocatoria. Essa sfiora il nocciolo dell'esistenza. Ti costringe a non accettare nulla come naturale”.
E ancora “La vita spirituale è un estenderci fino al nostro io più riposto, fino ai nostri fratelli umani, fino a Dio”.
“Estenderci”, non “tuffarci” o “rinchiuderci”, ma un “amplificarsi” per arrivare, dalle nostre profondità vissute in modo nuovo, in Dio, all'altro che vive fuori di me, che io vedo ogni giorno, a casa, sul lavoro, per strada, in Chiesa. E anche a colui che non vedo, non conosco, con cui non parlo, ma che so che esiste, perchè fa parte di un progetto di Dio: l'umanità intera.
A quel tempo, la vita spirituale mi sembrava una conquista faticosa -e lo è tutt'ora, anche se in senso differente-, difficile perchè non avevo nessun “manuale” per capire come iniziare, in quale modo “impostarla”, come viverla e cosa fosse!
Il libricino che, inaspettatamente, mi era stato donato, cominciò ad aprirmi gli occhi: vivere la vita interiore altro non era se non imparare a conoscere Dio in fondo al mio cuore, viverLo, oltre che nella preghiera e nei Sacramenti, anche in un dialogo continuo, che poteva prendere spunto da qualsiasi cosa -natura, persone, sentimenti- per poi portarLo nelle mie relazioni con gli altri.
Sostanzialmente, era qualcosa che già stavo sperimentando, seppure non lo avessi ancora capito. Il Signore, infatti, ci conduce dove Lui desidera, anche quando noi stessi non riusciamo a comprendere o dare un nome specifico, al nostro modo di vivere la nostra relazione con Lui.
Eppure, oggi, sentire parlare di e vivere una vita spirituale, è sempre più raro, lo constato con rammarico, perchè ritengo che dovrebbe essere naturale, per chi si innamora di Dio (e dovremmo esserlo tutti noi che ci professiamo cristiani!) arrivare ad un rapporto così intimo e continuo, da viverlo sempre nel nostro animo, per poi riversarlo anche nella nostra vita di ogni giorno.
Ma l'uomo di oggi, sembra non avvertire la necessità di un relazionarsi così stretto con il Signore, o forse -più banalmente- ne ha timore, perchè è consapevole -anche solo inconsciamente- dello sforzo continuo che il vivere una vita interiore comporta, di quel lavorio, a volte tremendamente lacerante, che la vita spirituale obbliga, giorno dopo giorno, a fare su sé stessi, sul proprio carattere, sulle proprie naturali inclinazioni, quasi come fosse “la voce della coscienza” che ci richiama all'attenti, non appena proviamo a fare un passo falso.
Nulla di nuovo, però, rispetto alla scena che San Luca ci descrive nel suo Vangelo: “Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perchè non c'era posto per loro nell'albergo.” (Lc. 2, 4-7)
Si potrebbe dire “corsi e ricorsi storici della vita interiore”: quel Gesù che nessuno volle ospitare, quando era giunto il momento per Lui di venire al mondo, ancora oggi molti rifiutano di “partorire” nel profondo del loro animo, quando anche per loro si compie il momento di dare alla luce quei “frutti” che il Signore, pazientemente, ha seminato nei cuori.
A volte, ciò accade per timore, per paura di dover “lasciare” l'uomo vecchio e rivestirsi dell'uomo nuovo, come capitò al ricco del Vangelo di Marco (Mc 10,21), che, sentendosi dire da Gesù “Una cosa sola ti manca: và, vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi", si scoraggiò al pensiero di abbandonare le sue ricchezze....e fece dietrofront!
Altre volte, la vita spirituale non decolla perchè non si trovano gli aiuti necessari, perchè non si riesce ad aprire il cuore a qualcuno – sacerdoti, religiosi, laici che percorrano già il cammino spirituale- , attraverso cui comprendere meglio come “destreggiarsi” in quelli che all'inizio possono apparire sentieri irti e difficoltosi.
In realtà, il Signore ci ha dato tutti gli ingredienti per fare spazio, nella nostra esistenza, alla vita spirituale.
Basta già partire da quella scena che oggi, in questo inizio di novena di Natale, il presepe ci offre: la sacra famiglia, riunita in una grotta, circondata da umili pastori.
In questa semplice scena di unità e amore familiare, di un Dio che si fa uomo, si concretizza il superamento di quegli eccessi che Nouwen, nel suo volume, impara ad evitare nella vita spirituale: il darsi solo all'isolamento “che soffoca”-pensando che basti semplicemente coltivare il rapporto con il Signore, per fare vita interiore- o, dal lato opposto, non lasciare spazio alla “preghiera del cuore”, dandosi sul piano “sociale”, ma senza coltivare quel silenzioso e continuo dialogo con Dio, che deve essere la principale fonte di alimentazione del nostro rapporto coi fratelli.Nella grotta che ospitò il Verbo Incarnato, c'è ancora oggi il perfetto equilibrio tra questi due estremi, che l'uomo contemporaneo può contemplare, per trasfonderli nella propria vita.
L'umile Vergine di Nazareth e il falegname della stirpe di Davide, anime “contemplative”, si raccolgono, in beata adorazione, intorno al loro Bambino, nato povero, nato semplice, nato senza cognomi altisonanti.
Vivono quella che Nouwen chiama “solitudine ricettiva”, che si realizza quando “con una lenta conversione dell'isolamento in solitudine si crea quello spazio prezioso in cui si può udire la voce che parla della nostra necessità intima, cioè della nostra vocazione”.
E tutti siamo “vocati”, cioè chiamati a realizzare un progetto, che dall'eternità, Dio Padre, ha pensato, cucito su misura, addosso a ciascuno di noi!
Rimane nelle nostre facoltà, in virtù del libero arbitrio, scegliere se ascoltare per quali cose siamo stati “tagliati”, affidandoci totalmente al volere divino. Proprio come fece un piccolo, grande santo, Domenico Savio, quando sentendo dire da Don Bosco che in lui c'era della stoffa buona, rispose “Dunque io sono la stoffa, ella ne sia il sarto”.
L'isolamento che si fa “solitudine ricettiva”, serve a consegnarci nelle mani di Dio, a lasciare che sia Lui a “tagliarci” nel modo migliore!
Questa solitudine non è isolamento, perchè, come spiega Nouwen: “La solitudine non ci trascina lontano dai nostri fratelli ma rende piuttosto possibile una vera e reale amicizia”.
Giuseppe e Maria, nell'umile e fredda grotta, in cui accolsero Gesù, accolsero il loro essere padre putativo e madre del Dio fattosi uomo, un Dio che doveva essere donato all'umanità intera, non custodito come un tesoro esclusivo!
Ecco che allora si passa al secondo movimento, quello del “creare spazio per gli estranei”: “Ospitalità significa creazione di uno spazio libero dove lo straniero possa entrare per diventare amico invece che nemico. Ospitalità non significa mutare le persone ma offrire loro uno spazio dove il mutamento possa avvenire”.
I genitori della Sacra famiglia ci additano questo “spazio”: è Gesù stesso, che essi, fin già dai primi momenti successivi al parto, rendono “visibile” ai pastori, simbolo dell'umanità intera, affinchè in Lui, noi tutti possiamo operare il nostro “cambiamento”.
Il presepe, visto in quest'ottica, può essere una vera scuola di vita interiore, come ci ha ricordato il Santo Padre, Benedetto XVI, nel corso dell'Angelus di Domenica scorsa:
"Il presepio e' una scuola di vita, dove possiamo imparare il segreto della vera gioia che non consiste nell'avere tante cose, ma nel sentirsi amati dal Signore, nel farsi dono per gli altri e nel volersi bene".
Seguiamo allora l'esempio della Sacra Famiglia, modello di perfetta vita interiore e cogliamo al volo l'appello del Papa, di trasformare la realizzazione del presepe da una “ripetizione di un gesto tradizionale” ad un incentivo per “vivere nella realtà di tutti i giorni quello che il presepe rappresenta, cioè l'amore di Cristo, la sua umiltà, la sua povertà”.


E buona novena a tutti!

1 commento:

  1. Che dire? Mi viene solo un'espressione: "che bello!!". che bello tutto, la Natività di Dio, fattosi uomo, la spiritualità che ne consegue, anche se cercata in un faticoso cammino, il volersi bene per davvero, sotto l'egida del Signore.
    Grazie cara, anche questa volta hai superato te stessa!

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