lunedì 29 novembre 2010

NOVENA ALL'IMMACOLATA



O Padre, che nell'Immacolata Concezione della Vergine, 
hai preparato una degna dimora del Tuo Figlio,
 e in previsione della morte di Lui l'hai preservata da ogni macchia di peccato,
 concedi anche a noi, per sua intercessione,
 di venire incontro a Te in santità e purezza di spirito.


Per il nostro Signore Gesù Cristo, 
tuo Figlio che è Dio 
e vive e regna con Te
 e con lo Spirito Santo 
per tutti i secoli dei secoli.


Amen

domenica 28 novembre 2010

AVVENTO, TEMPO D'ATTESA, PER IMPARARE A VEDERE LA LUCE DEL SIGNORE!



"Chi ci farà vedere il bene?
Risplenda su di noi, Signore, la luce del tuo volto"

(Sal 4, 7)


Se provassimo a fissare ad occhio nudo il sole, non riusciremmo a sopportarne -se non per pochi secondi- la luce intensa e saremmo costretti a distogliere lo sguardo.


Insistendo nel guardare, la nostra retina, che non ha protezione (a differenza della pelle) contro i raggi solari, comincerebbe a bruciarsi e riportebbe danni più o meno intensi e più o meno duraturi, a seconda del tempo che rimarremmo incollati al sole...
Parrebbe una cosa quasi strana: ogni giorno vediamo cose, persone, paesaggi, tutto insomma, proprio grazie a quel sole, la cui luce viene riflessa da quello che ci circonda.
Senza sole, saremmo in una terra di buio, neanche la luna brillerebbe!
Eppure, se ci azzardiamo a fissare direttamente quella luce, non ci riusciamo per molto tempo, o ne riportiamo conseguenze irreparabili....

Proviamo, per un attimo, ad usare queste considerazioni come punto di partenza per la nostra vita spirituale, specialmente in questo tempo d'avvento: la nostra luce, il nostro Sole è Gesù, mentre i nostri occhi sono l'anima.
Ogni cosa che vediamo, in verità la vediamo perché esiste Dio, il cui Figlio è venuto a dare pienezza a tutto, a portare a compimento ad ogni realtà.
Se non esistesse Lui, non esisterebbe niente e nessuno: saremmo completamente al buio.

Dice infatti il prologo di Giovanni:

"In principio era il Verbo
 il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio
tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò
che esiste"
(Gv 1, 1-3)

Fermiamoci a riflettere: quante volte, realmente, ci rendiamo conto di vedere, di poter vedere ogni cosa e anche di essere visti perché tutto esiste in Dio, è racchiuso nel Cuore adorabile di Gesù?

Spesso, la nostra vita è un susseguirsi di azioni materiali, di lavoro, di cura della casa, anche di preghiera....ma che non scaturisce dal cuore: viviamo la nostra esistenza, anche quella spirituale, senza comprenderla realmente, non ci lasciamo lavorare dalla Grazia, non ci lasciamo "trasfigurare" per comprendere che ogni aspetto della vita ha un risvolto soprannaturale, che tutto il nostro cammino, anche quando è fatto di semplici ed umili azioni, è un passo verso la vita eterna.

In alcuni casi, siamo timorosi di guardare Dio in faccia: pensiamo (forse intuiamo) che farlo comporta un cambiamento radicale di vita, un mettersi al servizio della Parola...e ne abbiamo paura.
Altre volte, il nostro è un timore riverenziale, come quello di Mosè: un timore santo che non è sbagliato, ma Gesù, che è il Verbo fatto carne, è venuto per rivelarci il Volto del Padre: noi, quindi, non dobbiamo velarci gli occhi, ma dobbiamo imparare a guardare Gesù, a fissarlo direttamente, per ricevere la Sua luce e farcene portatori nel mondo, ricevendone forza!

Come fare, allora, affinchè la nostra anima non si "bruci" nel ricevere la Luce vera?



Occorre camminare senza voler saltare le tappe, bisogna iniziare a scoprire il Volto Divino che si rivela nei Sacramenti, ed in particolare nella Liturgia, laddovve Cristo è veramente presente, nel Suo Sacrificio che si rinnova.
I discepoli di Emmaus, che riconobbero Gesù allo spezzare del pane, videro l'Uomo-Dio risorto (quindi non solo l'Uomo Dio nella sua esistenza terrena) e non ne rimasero accecati: avevano abituato i loro occhi, la loro anima...alla Sua luce sfolgorante, tanto da poterla "sopportare", da poterla guardare in tutto il suo splendore.

Nella nostra vita di cristiani in attesa dell'incontro con Gesù, siamo chiamati ad "abituarci", poco a poco, a guardare la Luce del Salvatore.

Se ce l'hanno fatta i discepoli, poveri pescatori, ignoranti (secondo le regole del mondo!), uomini con dubbi e timori come chiunque, allora, si, possiamo farcela anche noi!


Il primo passo, appunto, è riconoscere la viva e vera presenza di Dio sull'Altare: quando andiamo in Chiesa per prendere parte alla Santa Messa, pensiamo che realmente il Signore ci sta aspettando, che è desideroso dell'incontro personale con ciascuno di noi.

Entrando, salutiamoLo con affetto, come si fa con gli amici in carne ed ossa...perché Gesù E' in CARNE ED OSSA! 

EsponiamoGli i nostri problemi, ringraziamoLo per quello che abbiamo ricevuto in quella giornata, offriamoGli il nostro sacrificio quotidiano, assieme a quello del sacerdote che celebrerà la Santa Messa.

Parliamo con Lui anche al momento della Santa Comunione: immaginiamolo VIVO e VERO accanto a noi, per aiutarci ad essere maggiormente a nostro agio e per farLo contento!


ChiediamoGli di renderci sempre più capaci di incontrarLo, giorno dopo giorno, in tutte le circostanze della vita, in tutte le persone che ci stanno accanto, in tutte le occasioni di merito che possiamo utilizzare per santificarci e santificare.

E uscendo dalla Messa, ricordiamo che il Signore è sempre con noi, dappertutto, qualunque cosa facciamo: che è Lui che consente al mio computer di scrivere, perché dalla Sua Somma Intellegenza deriva anche questo strumento; che è nel lavoro di cucina che mi aspetta, nel quale potrò dimostrare l'amore per i miei cari; che è nel lavoro che dovrò svolgere, mettendo al centro la persona e non semplicemente il guadagno....

Ricorriamo con maggiore frequenza al Sacramento della Confessione, per prepararci all'appuntamento domenicale con Gesù-Ostia, come si fa quando si va a trovare un amico e ci si presenta puliti, ben vestiti, profumati....

Coltiviamo la lettura spirituale, la meditazione della Parola, cerchiamo di trovarci degli amici fra i Santi, per apprendere anche i loro insegnamenti...

Ascoltiamo la voce del Papa, che è Vicario di Cristo in terra....

Ecco, poco a poco, quasi senza accorgercene, cominceremo ad avere maggiore familiarità con Gesù, a ricordarcene più spesso nel corso della giornata e delle attività, tratteremo con gli altri come Lui vorrebbe che facessimo, inizieremo a lavorare sugli spigoli del carattere.
Alla fine, ogni cosa, anche la più banale, ci apparirà diversa: la vedremo nell'ottica della vita eterna alla quale ci stiamo preparando...e il nostro occhio interiore -la nostra anima- si sarà abituato a contemplare, con una certa costanza, la Luce di Nostro Signore, senza "bruciarsi".

Il mio augurio per questo Avvento è che ciascuno di noi riesca ad "allenare" gli occhi interiori a vivere perennemente nella contemplazione della Luce che è Cristo, per imparare a riconoscerLo in tutto ciò che ci circonda: persone, eventi, paesaggi, incontri casuali e non casuali, impegni quotidiani...

Che la Vergine Maria, che ha saputo vivere sempre imbevuta di questa Luce, sappiamo guidarci per mano, nel cammino che ci porta al Santo Natale.

Buon Avvento a tutti!

venerdì 26 novembre 2010

MEDITIAMO IL SANTO ROSARIO. I misteri della Luce

Qui potete leggere la meditazione del primo mistero




2° mistero

La manifestazione di Gesù alle Nozze di Cana

(Le nozze di Cana- particolare di una foto di Robert Fertita


Tre giorni dopo, ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea e c'era la madre di Gesù.

Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli.


Nel frattempo, venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: "Non hanno più vino".

E Gesù rispose: "Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora".

La madre dice ai servi: "Fate quello che vi dirà".

Vi erano là sei giare di pietra per la purificazione dei Giudei, contenenti ciascuna due o tre barili.

E Gesù disse loro: "Riempite d'acqua le giare"; e le riempirono fino all'orlo.

Disse loro di nuovo: "Ora attingete e portatene al maestro di tavola". Ed essi gliene portarono.

E come ebbe assaggiato l'acqua diventata vino, il maestro di tavola, che non sapeva di dove venisse (ma lo sapevano i servi che avevano attinto l'acqua), chiamò lo sposo

e gli disse: "Tutti servono da principio il vino buono e, quando sono un pò brilli, quello meno buono; tu invece hai conservato fino ad ora il vino buono". 

Così Gesù diede inizio ai suoi miracoli in Cana di Galilea, manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui. (Gv 2, 1-11)


Contempliamo, in questo mistero, l'umiltà di Gesù che, ormai adulto, presta “obbedienza” alla Madre, nonostante la risposta -apparentemente brusca- che le rivolge in principio.

Quel “Che ho da fare con te, o donna?” appare ancora più sorprendente, se riletto nel contesto dell' umilissima e filiale “sottomissione” al comando materno, alla ferma convinzione di Maria Santissima, che neppure per un attimo dubita dell'intervento di Gesù!

Al tempo delle Nozze di Cana, San Giuseppe era probabilmente già morto -non essendo menzionato fra i presenti al banchetto- e quindi, sul piano “umano”, delle convenzioni sociali, Nostro Signore non aveva più un padre al quale prestare obbedienza (la società, all'epoca di Gesù, aveva una struttura patriarcale).
Nonostante ciò, ecco che il Salvatore non si “ribella” all'invito -che è quasi una certezza- di Maria Santissima, anzi, si fa “figlio umile” e accoglie la generosa ed altruista richiesta della Sua Mamma, di venire in soccorso dei bisogni dei neo-sposi.
Non ribatte, mettendo in evidenza la propria “autonomia” di persona adulta, di uomo e, soprattutto, di Figlio di Dio; non sottolinea l'inferiorità (secondo le concezioni del tempo) della donna, ma, al contrario, proprio l'apparente contrasto fra la sua risposta “a parole” e quella coi “fatti”, evidenzia la rottura fra le concezioni tipiche dell'epoca e il pensiero di Dio, manifestato nel Suo Figlio.


Potremmo dire, che quel “Che ho da fare con te, o donna”, appare a questo punto, quasi come una splendida “dichiarazione d'amore” di Gesù alla Vergine Maria!



Pensiamo ad un figlio piccolo, un bambino che non sia capriccioso, ma che agisca sempre con bontà, rispetto verso i genitori e buona educazione con tutti quelli con cui si trovi ad avere a che fare. 
Un genitore che, ad una richiesta (lecita, ma non obbligatoriamente da assecondare) del figlio, rispondesse -prima di esaudire la richiesta stessa- con le medesime parole di Gesù, non starebbe dicendo altro che questo: “Cosa devo fare con te? Ti voglio talmente tanto bene, so che sei talmente tanto buono, che non posso non rispondere con altrettanto affetto, al tuo affetto...”!
Invertiamo la situazione....
ed ecco, è proprio questo che Nostro Signore dice a Maria Santissima, nel mistero che meditiamo: “Madre mia, ti voglio così bene, sei così giusta e saggia, qualunque tua richiesta è buona e piena d'amore, che non posso rifiutare di esaudire ciò che mi chiedi, nonostante non sia ancora venuto il tempo di manifestarmi...perché ti voglio infinitamente bene”!



Che il Signore ci ottenga la stessa umiltà amorosa nel rispettare i nostri genitori sempre, non solo quando siamo piccoli e bisognosi di ogni cosa, ma anche quando saremo adulti e autonomi!

lunedì 22 novembre 2010

VENDUTA ALLA CARITA': la serva di Dio Sorella Lucia Ripamonti, Ancella della Carità



"Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna.
E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla. 
E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova".  (Cor 13, 1-3)



"L'Ancella è venduta alla carità, né più le resta giurisdizione o padronanza di sorta sopra se stessa; gioventù, sanità, agi, forse, sangue e vita, in una parola tutto il suo essere è a disposizione di questa virtù e se qualcosa le restasse ancora a dare, di questa pure sarebbe arbitra la carità".
(Santa Maria Crocifissa Di Rosa, fondatrice delle Ancelle della Carità)


Se si volesse tracciare un breve profilo spirituale di Sorella Lucia Ripamonti, basterebbe semplicemente "leggere" la sua esistenza, collocando la sua figura fra questi due pensieri sulla carità.

Si sarebbe detto già tutto l'essenziale, perché la sua intera vita fu spesa nella carità, in un amore che trovava la sua fonte nell'Amore di Dio e che si snodò, concretamente, fra preghiera, servizio umilissimo (in famiglia prima e nella comunità religiosa, successivamente), sollievo alle necessità delle persone incontrate lungo il suo cammino, un sollievo fatto di una parola, di un sorriso, di un'Ave Maria, di un pane offerto con squisita e discreta gentilezza.

E' la carità, infatti, che ci rende realmente “sale della terra e luce del mondo”, pur dietro l'apparenza di una vita ordinaria, “banale”, semplice.
E Suor Lucia Ripamonti visse seguendo il “motto” indicato da Suor Maria Crocifissa di Rosa, “vendendosi” alla carità!

Sorella Lucia, al secolo Maria Ripamonti, nacque il 26 maggio 1909 ad Acquate, un rione di Lecco, all'epoca in provincia di Como.
La sua era una famiglia modesta, ma non particolarmente fervente nella pratica religiosa, impegnata nel lavoro in fabbrica e a casa.
Maria, invece, fin da piccola rivelò il germe del forte amore verso il Signore, che orientò poi la sua vita intera.

Animata da una compostezza di carattere, un tratto squisito, un amore caritatevole e  discreto, Maria non mancò di dimostrare queste sue qualità in tante situazioni: dall'andare a prendere il babbo, all'uscita dal lavoro, per evitare che, in tempo di guerra, frequentasse le osterie, con il rischio di lasciarsi sfuggire parole considerate, per quei tempi "sovversive".... al confortare le compagne tristi, al fare piccoli "atti di gentilezza", quei sacrifici che formano l'anima, la plasmano, la rendono sempre più attenta alla voce di Dio.

Nel volume "Venduta alla Carità" di Fernando Bea, si legge:

"Maria intraprende la via delle piccole mortificazione.
Dire di no anche alle cose più innocue.
Dire ancora no ad ogni più che legittimo moto dell'animo, del sentimento.
Cercare di fare quanto meno garba, accettare quanto rincresce, sorridere e mostrarsi cortese quando verrebbe da protestare.
Così, senza avvedersene, si forma alla scuola del no alle cose perché, più alto, risuoni il sì, al principio di tutte le cose".

Questa "forza di carattere", capace di imporre il dominio della volontà sui moti naturali dell'animo, fu una costate nella vita religiosa di Suor Lucia Ripamonti.

Impegnata nell'oratorio e nell'Azione Cattolica, Maria maturò la vocazione religiosa, desiderando di entrare, inizialmente, fra le Suore della Carità dette di Maria Bambina, che aveva conosciuto personalmente, in quanto presenti nel suo paese.
Non desiderava farsi "sorella mandataria", ovvero"una religiosa che di per sé, secondo le diverse Regole di un Istituto di vita consacrata, non raggiunge posti di responsabilità nelle varie mansioni del convento, dedicandosi ai lavori modesti e preziosi, tanto necessari in qualsiasi comunità".
D'altronde, Maria Ripamonti non aveva completato la scuola, arrivando solo in terza elementare e si reputava incapace di grandi cose, era di costituzione debole.... e, soprattutto, impregnata di vera umiltà.

Il progetto di farsi suora di Maria Bambina non andò in porto, dovendo infatti accettare un secco rifiuto.
Fu a quel punto che il Signore le svelò il Suo disegno per lei: dall'incontro con una suora Ancella della Carità, sua compaesana, Maria ebbe modo di conoscere il carisma dell'ordine fondato da Suor Maria Crocifissa di Rosa, nobile bresciana (1813-1855), canonizzata nel 1954.
Voi siete vendute alla carità”, aveva lasciato scritto la Madre fondatrice....e Maria Ripamonti trovò finalmente, in quelle parole, il "modo" di vivere la vocazione: vendersi alla carità!

Realizzare però il proprio progetto vocazionale, costò, a Suor Lucia, non solo la “fatica” ed il dolore della ricerca, del rifiuto da parte di due Istituti religiosi, dell'attesa, ma anche, in un certo senso, la rottura dei rapporti familiari, poiché i suoi genitori, non accettarono mai che la propria figlia si fosse consacrata al Signore, anche se non seppero mai che sarebbe stata Sorella mandataria.

Il primo insegnamento che Suor Lucia ci lascia, potremmo allora dire, è quello di vivere cercando di ricalcare a penna quel percorso vocazionale che il Signore ha pensato per ciascuno di noi, tracciandolo a matita e attendendo con pazienza che noi, sue creature, procediamo seguendo quella strada.
Questo significa mettere veramente Dio al primo posto, convincersi che ciò che Lui ha in mente per noi, ci porterà alla santità, alla felicità dell'anima, ci renderà capaci di portare frutto.
Anche qualora questo implicasse un periodo di “buio”, di affanni, di silenzio, di ricerca faticosa, di contrasti con chi non comprendesse questa nostra vocazione.

Nessuno che mette mano all'aratro
e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio”. (Lc 9, 62)


Non è un discorso astratto, valido solo per chi si senta chiamato alla vita religiosa.
Lo si potrebbe estendere, ad esempio, anche ad una vocazione in senso “lavorativo”....pensiamo a chi volesse abbracciare la professione medica, per recarsi in terre difficili, magari entrando a far parte di organizzazioni umanitarie!
O, al contrario, a chi, abbandonando una condizione sociale stabile, volesse avviare un'attività umile, sentendosi chiamato a quel tipo di lavoro!
Probabilmente, molti genitori...non sarebbero d'accordo con queste scelte e cercherebbero di ostacolarle.
Fidarsi di Dio, vuol dire ascoltare quella voce che chiama a seguire una certa strada, trovando rifugio e consiglio nella preghiera, l'unica che possa veramente rendere “l'orecchio del cuore” capace di sentire bene il richiamo del Signore!

Ma torniamo a Suor Lucia: la sua vita, spesa interamente nella casa madre di Brescia, fu tutta, apparentemente un susseguirsi di" servizi umili, d'incombenze anche di fiducia, poiché usciva per le spese, per accompagnare le Suore nei luoghi di destinazione, serviva i sacerdoti che venivano in Casa Madre per gli Esercizi spirituali dei vari gruppi di Superiore e sostavano in foresteria."
E, ancora, pavimenti da spazzare, commissioni da sbrigare....
Ma ogni cosa che Suor Lucia compiva, non solo la realizzava con amore,ma diventava, anche al di fuori della preghiera di comunità, orazione, colloquio con il Signore.

Era un "segreto", questo, che aveva già appreso in famiglia, quando presa da mille faccende, faceva meditazione e stava"raccolta in Gesù".

Potremmo qui ricevere un altro dei beni dell'eredità spirituale (e non solo) che Suor Lucia ci consegna: comprendere che la vocazione non è sempre (anzi, non lo è quasi mai) un percorso pianeggiante, un fare solo quello che si vuole, un andare d'accordo, quasi d'incanto, con tutti quelli che incontreremo.
No, al contrario! Seguire la propria vocazione significa indubbiamente mettere un primo punto fermo nella propria vita, vivendola alla luce del volere del Signore, ma anche essere consapevoli che, probabilmente, all'interno di quella “scelta definitiva” che si è ormai compiuta, ci saranno molte altre scelte che, quotidianamente, momento per momento, Dio ci chiederà di fare.
Ossia, nella vocazione, si sarà continuamente chiamati, richiamati, a vivere, scelta dopo scelta, quel progetto divino tagliato su misura per noi, compiendo ogni azione, anche la più semplice, nella consapevolezza che nulla, agli occhi di Dio è banale, e che con un gesto d'amore, possiamo salvare delle anime!

Per capire quanto questo sia vero, basterebbe pensare a quanti matrimoni, purtroppo, oggi si consumino in formato usa e getta.
A volte ci si sposa con l'idea che, dopo il fatidico “si”, tutto sarà bello, semplice....facile.
Invece occorre comprendere che proprio dopo il “si” ci saranno ancora molti altri “si” da dire, attraverso molti no a sé stessi, al proprio egoismo, all'amor proprio, alle proprie preferenze...
Solo così sarà possibile superare quelle “sciocchezze” (se paragonate al fine che è la santità, e alla propria vocazione!), che non intaccano la bellezza della vita matrimoniale, ma possono renderla un percorso verso la santità insieme.

Suor Lucia avrebbe desiderato vivere la sua vocazione non solo fra pentole e piatti, ma nelle corsie degli ospedali, o con i bambini, come facevano le altre Ancelle...ma accettò umilmente di dire, ancora una volta, il suo “si” nel si più grande dell'Amore.
Dedicarsi ad attività diverse da quelle che aveva sognato, tuttavia, non intaccò minimamente il suo essere consacrata, ancella, chiamata (come tutti noi!) alla santità!
Quel modo “concreto” di spendere la sua esistenza come sposa di Cristo, Gesù stesso lo aveva disposto per lei, allora si fidò di Lui, e visse fedele al volere dei superiori, rappresentati in terra di Dio stesso.
In questo modo riuscì a trovare la felicità interiore....consapevole che la "grandezza" delle opere dipende, agli occhi di Dio, dall'amore con cui vengono compiute, fossero anche le più umili, le più banali, le più quotidiane!

"Sorellina..." -disse un giorno ad una novizia- "ha pulito bene il corridoio, però di solito io pulisco più bene sotto gli armadi, dove nessuno vede... faccia anche lei bene dove nessuno vede, facciamolo bene insieme, perché Gesù dovrebbe sempre sorridere per il nostro operare nascosto per amor suo".

Insomma: la vocazione, la vita di fede, non sono un trampolino di lancio per gli onori e la gloria "sociali", mondane, ma solo ed esclusivamente per consolare, amare Gesù, salvarGli le anime!

Suor Lucia appariva sempre serena, mai una parola scortese con nessuno, mai uno sgarbo, il sorriso sempre sulle labbra.
Lei, che era distratta, non di rado rompeva degli oggetti -involontariamente- e per questo veniva giustamente ripresa....eppure, manteneva inalterata la sua calma interiore ed esteriore.
Anche le Superiore sapevano che la rottura dei vari oggetti era dovuta ad un difetto di vista, ben confermato nelle varie visite oculistiche che ne sono la testimonianza.
Eppure lei non si scusava.
Quale era il "segreto" di questa pace?

Non di certo una docilità innata del carattere....
Suor Lucia era una persona dall'animo sensibile, come chiunque, sentiva gli stimoli dell'amor proprio e il peso delle umiliazioni, la fatica di rimanere sempre impegnata non sul fronte attivo delle altre Ancelle (impegnate coi bambini, negli ospedali...), ma in quello, umile, nascosto, di sorella mandataria. (Ora questa classe di suore non esiste più da molti anni e regna una mirabile fusione e armonia tra tutte)

Alle consorelle, diceva, per aiutare a superare la permalosità: “Non faccia così, non pianga; in Paradiso saremo tanto contente”!
Suor Lucia aveva capito che ogni occasione che abbiamo a nostra disposizione per dimostrare amore a Gesù, può essere fruttuosamente impiegata per salvare anime, per rendere ogni cosa un atto di “immolazione” alla Sua Volontà e, soprattutto, che nella corsa verso la santità, tutto ciò che non è “essenziale” non deve essere oggetto dei pensieri umani, non bisogna soffermarcisi sopra, ma occorre continuare a camminare a passo svelto verso la vetta!
Due furono le cose che, concretamente l'aiutarono nel tenere a bada i moti dell'animo: la carità e l'obbedienza.

Dio è carità e 
"la carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia,non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto,non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità.
 Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta".(1Cor 13, 4-7)

"Tutto copre", e Suor Lucia diceva: "Non sta bene pensare male e giudicare. Chissà quanti sforzi avrà fatto quella Sorella per vincersi".

Ecco un altro insegnamento che possiamo ricavare dall'esperienza di Suor Lucia: noi siamo spesso portati a scusarci, a scolparci, ogni volta ci accusino di qualcosa, perché conosciamo gli sforzi che magari abbiamo compiuto per superare un difetto, un'imperfezione...e nonostante tutto, non sempre riusciamo nell'impresa.
Siamo capaci di applicare lo stesso "metro di non giudizio" con chi ci sta intorno, pensando sempre bene di loro, intuendo che, probabilmente, anche le loro apparenti "irrequietezze" sono il residuo di una lotta interiore?

Vendersi alla carità, ha lasciato scritto la Madre fondatrice, significa rinunciare a tutto e, per una religiosa, questa rinuncia, nei voti di povertà, castità, obbedienza, è ancora più intensa: ci si fa poveri di tutto, anche del desiderio di agire di testa propria, in virtù della santa obbedienza, alla Regola, ai superiori, al Divin Volere.


"L'obbedienza vale molto più della salute", diceva Suor Lucia, richiamando amorevolmente ad essa anche le sue compagne, non tanto con le parole, ma con la testimonianza di esatta osservanza di richieste, comandi, inviti dei suoi superiori.

Suor Lucia Ripamonti, visse senza risparmiare le forze fisiche, in osservanza a questo comando....e arrivò alla “vetta” a 45 anni, consumata da un male che venne diagnosticato tardivamente.
Anche negli ultimi tempi della sua corsa terrena, seppe sempre prodigarsi, dimostrandosi esempio vivente della carità che sparge il suo profumo ovunque passi.

In ogni accettazione della sofferenza, Sorella Lucia continuò animata dall'amore per i peccatori, che in ogni tempo, hanno bisogno di conversione!
Maturò così, poco a poco, in lei, la più pressante aspirazione ad offrirsi vittima, per tutti quanti rifiutano la Grazia, e, forse, anche per suo fratello Enrico, del quale da tempo non si avevano notizie.
L'8 settembre 1953,"con il consenso dei superiori, nelle mani del confessore emette il voto di vittima" e si spense il 4 luglio 1954, dopo 45 anni spesi tenendo"sempre gli occhi fissi in Dio".

Che il suo esempio, possa essere di aiuto anche a noi, perché possiamo vivere alla scuola dell'umiltà, consapevoli che la vocazione è una scelta che va continuamente "riaffermata", dimostrata, interiorizzata....e che solo nella piena fedeltà ad essa, possiamo trasformare qualunque nostra azione in "preghiera e lode a Dio"!



PREGHIERA PER OTTENERE L’INTERCESSIONE DI SORELLA LUCIA

O Dio, Trinità santissima,
Padre,Figlio e Spirito Santo,
noi ti ringraziamo per i tesori di grazia
profusi nel cuore della tua serva
Sorella LUCIA RIPAMONTI
e ti preghiamo concedere anche a no,
di amarti e servirti con fede semplice
e ardore di carità,
non cercando che il compimento dei divini voleri.
Degnati, o Signore, di glorificare qui in terra
questa tua sposa fedele e, per sua intercessione,
accordaci le grazie che domandiamo. Così sia.

Tre Gloria Patri. . .

sabato 20 novembre 2010

SANTA TERESA D'AVILA E NAPOLI...


(foto della mostra allestita presso l'emeroteca Tucci di Napoli)



"C’è un rapporto particolarissimo fra  Napoli e Teresa. Un rapporto antico considerando che la S. Madre è anche patrona della città, da oltre tre secoli.
Nel 1636 l’arcivescovo Francesco Buoncompagni ottenne da Roma il decreto di elezione di S. Teresa a patrona di Napoli e il 4 aprile 1664 il p. Vincenzo della Croce, confessore di Anna di S. Bartolomeo, annunciò ai napoletani che il Parlamento generale proclamava per acclamazione S. Teresa di Gesù Patrona e protettrice della città e del Regno di Napoli".

Probabilmente, che Santa Teresa d'Avila sia patrona di Napoli, suonerà "strano" e sarà motivo di stupore per molti.
Siamo infatti abituati ad identificare il capoluogo campano con San Gennaro, il patrono più "famoso" della città!

Invece, l'articolo di Stefania de Bonis, che potete trovare sul sito "missioocd", ci permette di fare un salto nel passato e scoprire quale relazioni leghi Napoli e la mistica carmelitana.

Nel lasciarvi a questa interessante lettura, vi auguro un buon pomeriggio e anticipo gli auguri di una Santa e serena Domenica!

mercoledì 17 novembre 2010

FESTA DI SANT'ELISABETTA D'UNGHERIA. Il fuoco della carità riscalda chi ci sta intorno!


O Dio, che a sant'Elisabetta hai dato la grazia di riconoscere e onorare Cristo nei poveri, 
concedi anche a noi, per sua intercessione, 
di servire con instancabile carità 
coloro che si trovano nella sofferenza e nel bisogno. 
AMEN

(Sant'Elisabetta, con i pani che si trasformano in rose)

Figlia di re, sposa di un re, moglie fedele e felice, madre, terziaria francescana, Elisabetta d'Ungheria, nacque nel 1207 e morì nel 1231.
Giù durante il matrimonio si dedicò alle opere di carità, sempre appoggiata dal marito, anche lui fervente cattolico e innamoratissimo della moglie, nonostante le nozze fossero state combinate, quando lei aveva solo 14 anni!.
Fondò ospedali, visitò e curò gli ammalati, specialmente i più bisognosi e ripugnanti, mise tutte le sue ricchezze a disposizione dei poveri.

Anche il Santo Padre ha dedicato una catechesi generale a questa Santa, e nell'omelia che ho potuto ascoltare durante la Santa Messa, il sacerdote celebrante ha letto la bellissima lettera  lasciataci da Corrado di Marburgo, suo direttore spirituale, che si trova anche nell'ufficio delle letture di quest'oggi. (aprendo il link, scorrete la pagina, troverete la lettera dopo i salmi e la prima lettura)
E' un vero "concentrato" dell'esperienza spirituale di Sant'Elisabetta....esperienza che si fece carità concreta!

Ma, oltre a questa splendida lettera, mi ha molto colpita un' episodio della vita della Santa, narrato dal celebrante.

Un giorno, in pieno inverno, con la neve che aveva imbiancato ogni cosa, Sant'Elisabetta si accingeva, come ogni mattina, ad andare a visitare i suoi ammalati, nell'ospedale da lei fatto costruire vicino al suo castello.
Con lei, come sempre, sarebbe venuta anche la sua serva....che tuttavia appariva titubante per via della neve e del freddo e aveva dunque proposto di tralasciare, per quella mattina, la prima delle due visite giornaliere agli ammalati.
Sant'Elisabetta, invitò invece la sua serva a seguirla come da solito, camminando là dove lei, passando per prima, avrebbe lasciato le sue impronte.
La serva, fidandosi della padrona, fece come detto....e ricalcando le orme della Santa, non solo non sentì freddo e non calpestò neve, ma avvertì, insolitamente.... calore ai piedi!

L'episodio fa riflettere: la carità non è mai "sterile", produce sempre una scia d'amore che riescono a percepire anche quanti ci stanno attorno, se ben disponibili...all'ascolto!
A volte, ne facciamo esperienza anche nelle nostre situazioni di vita quotidiana: basta che ci sia una persona di famiglia o un amico, a trascinarci in una qualche attività di bene verso chi ha necessità (materiali o psicologiche), per infervorarci, facendoci realmente sperimentare il calore, il fuoco della carità!

Che Sant'Elisabetta, che ricordiamo quest'oggi, ci ottenga dal Signore lo stesso suo zelo nella carità, specialmente per quelli che maggiormente hanno bisogno, non necessariamente di beni materiali, ma anche di una parola di conforto, di una preghiera, della nostra vicinanza!